Il regista Gerardo Lamattina porta sul grande schermo una tradizione romagnola, che nasce a Ravenna ma arriva dalla Cina: il gioco del Mah Jong. Nella docu-fiction Il Drago di Romagna andiamo a conoscere le origini del Mah Jong in Italia e la curiosa passione della protagonista.
Scanzonato docu-fiction ambientato nel cuore della Romagna: siamo a Ravenna e Luisa, la nostra protagonista, è una tipica azdora, donna di casa. Fa la sfoglia e la piadina e si occupa molto spesso del nipote appassionato di videogiochi. A sua volta, nutre una grande passione per il Mah Jong, un diffuso passatempo della riviera, originario della lontana Cina.
Luisa è da poco andata in pensione e spera finalmente di potersi dedicare alla scoperta delle radici più profonde di questo gioco da tavolo; e magari, raggiungere questa terra lontana e là farsi una partitina. Dalla sua curiosità la storia si allunga e si espande in una ricerca, nelle cui retrovie si muove la mano del regista Gerardo Lamattina: come è arrivato il Mah Jong a Ravenna? Chi ce l’ha portato? E come è diventato un passatempo locale così popolare?
La ricerca di Luisa attraversa reperti fotografici e testimonianze contemporanee, mentre, tra una partita e l’altra, si prende cura del nipote e rimprovera la figlia assente. Donatella, infatti, a sua volta, sta inseguendo il suo sogno di diventare cantante: quando le viene proposto di lavorare su una nave da crociera per un mese, si trova a dover confrontarsi con la realtà delle responsabilità famigliari. Mentre asseconda la sua ugola, poco fa per comprendere la passione/ossessione della madre, che si è pure venduta la macchina per il viaggio in Cina.
Non poteva essere che il Mah Jong a riconciliare le generazioni, ma anche la buona tavola, si potrebbe dire, così come vuole la tradizione cinese che riunisce le famiglie ogni anno per simposi gastronomici senza fine. Si acquietano quindi le tradizioni e le memorie; madre e figlia sono pronte a rinunciare ai loro sogni centrifughi, a quei viaggi un po’ sogno e un po’ follia, per ricongiungersi alla famiglia e al nipote.
“La vita è un viaggio e la finzione un inganno necessario, ma si comincia con ingannare gli altri e si finisce per ingannare se stessi. È solo quando sei pronta per partire che puoi finalmente decidere di restare.”
Gerardo Lamattina ci aveva già anticipato alla vigilia delle riprese, che sarebbe stato uno spasso seguire Luisa. Così come sarebbe stato di grande interesse andare a fondo delle radici del Mah Jong di Ravenna. Così ne Il Drago di Romagna c’è anche una storia che porta il nome di Lodovico Valvassori, il fu fabbricante sci di legno, che si reinventò produttore di tessere di Mah Jong una volta che i mercanti cinesi, chini sul gioco, catturarono la sua attenzione. Luisa arriverà addirittura alle matrici delle prime tessere di Mah Jong prodotte da Valvassori, che la nipote Valvassori le mostrerà come prezioso tesoro di famiglia. Accanto a queste, Sergio Mastromarino, appassionato ed esperto del gioco, le svelerà le declinazioni del gioco, diverse a seconda del luogo in cui questo è approdato.
Quanto questo fenomeno sia effettivamente esteso nella zona di Ravenna ci viene spiegato dalle testimonianze raccolte sul bagnasciuga: giovani e meno giovani si ricordano di come il gioco sia sempre stato lì, nelle loro giornate, prima di scuola o tra i compagni, a casa di amici oppure al lido.
Si entra ed esce dalla finzione con la stessa rapidità con cui si maneggiano le tessere del Mah Jong.
Lamattina ha deciso di strutturare la docu fiction con una dichiarata leggerezza, che si riconosce sin dalle prime note della sequenza introduttiva. Una onnipresente voce narrante si sostituisce agli attori non professionisti, e dondola tra una spiritosa narrazione e una filologica descrizione. Questa bonarietà ricalca il soggetto del gioco, del passatempo, ma come succede per i più appassionati, c’è una seriosa componente di fondo. In questo caso, è lo scontro generazionale e culturale: i giovani e i loro sogni, gli adulti e i sogni mancati. La cultura da cui si arriva e quella che ci ospita.
La “povera” Donatella insegue la volontà di una propria rivincita dopo un matrimonio fallito, ma l’opportunità non le verrà data perché la famiglia la calamiterà verso la responsabilità. E così sarà per Luisa, che alla fine non potrà permettersi più di qualche ricerca in internet e innumerevoli partite al tavolo con le amiche. Ironicamente, il suo tesoro lo troverà piuttosto nella pizzeria dietro casa; quanto alla Mecca del Mah Jong, quella, non la raggiungerà mai. Perciò il Mah Jong di Luisa resterà solo e soltanto il Mah Jong ravennate, senza possibilità di confronto con quello “originale”.
Dal 麻将 al magiò, ce lo spiega Il Drago di Romagna
Colori accesi e pastellati e un uso-abuso di center focus a creare un effetto vignetta che accompagna tutta la storia di Luisa: si guarda così, con enorme consapevolezza della linea di finzione, e anche qualche incursione metacinematografica. L’alternanza dei piani di indagine e di racconto scivola via senza strattoni e con molta consapevolezza del mezzo, integrando le testimonianze nella vicenda di Luisa e della sua famiglia. È la dimostrazione di un lavoro di sceneggiatura consapevole e rivisto anche in fase di montaggio.
Questa allegria generale, dei temi e dell’espressione, regala un prodotto leggero e disimpegnato, adatto a “togliere quella curiosità” a proposito di come il 麻将 sia ad un certo punto… diventato il magiò di Ravenna.
Il Drago di Romagna, è disponibile on demand sul canale Vimeo di POPCult all’indirizzo https://vimeo.com/ondemand/ildragodiromagna