Film da Vedere

‘Gli indesiderati d’Europa’ di Fabrizio Ferraro

Il cinema di Ferraro non è consumabile (per fortuna), se ne può solo fruire, a patto di essere disposti a compiere uno sforzo per evadere dalla logica imperante della proliferazione delle immagini

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Gli indesiderati d’Europa è un film storico in bianco e nero del 2018 diretto da Fabrizio Ferraro. Il film è stato presentato in anteprima il 26 Gennaio 2018 al Rotterdam International Film Festival. Scritto e diretto da Fabrizio Ferraro, con la fotografia di Simone Borgna e Giancarlo Leggeri e le musiche di Pau Riba e John Cale, Gli indesiderati d’Europa è interpretato da Euplemio Macrì, Catarina Wallenstein, Pau Riba, Bruno Duchêne, Marco Teti. Contiene dialoghi in catalano, francese e tedesco.

Sinossi
Nel 1939 i repubblicani catalani scappano in Francia alla ricerca di libertà. L’anno successivo, stranieri, ebrei e antifascisti affrontano il viaggio in direzione contraria per fuggire dalla Francia collaborazionista. Tra coloro che affrontano il lungo cammino a piedi vi è anche il filosofo Walter Benjamin, autore di un’opera seminale come L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. Gli ultimi giorni di vita di Benjamin permettono di riflettere sul passato storico dell’Europa, le cui strade decenni dopo saranno ancora una volta piene di rifugiati.

Per la prima volta chi scrive si è imbattuto – assai colpevolmente – in un film di Fabrizio Ferraro, e ciò che ha visto è senza dubbio un’opera importante, in cui il dovere della testimonianza e la necessità della ricerca formale si fondono in un felicissimo afflato. Ne Gli indesiderati d’Europa è presente un rigore estetico ed etico notevolissimo, una coerenza non incline a scendere a patti con la convenzionalità dello sguardo contemporaneo, ormai fatalmente assuefatto alla rappresentazione spettacolarizzata di qualunque Evento. Il cinema di Ferraro non è consumabile (per fortuna), se ne può solo fruire, a patto di essere disposti a compiere uno sforzo per evadere dalla logica imperante della proliferazione delle immagini. Il regista si muove in senso opposto, si produce cioè nel titanico gesto di filmare l’invisibile, l’aria della Storia, verrebbe da dire, ciò che di essa esorbita i limiti della narrazione del linguaggio, laddove la vita che contiene, il dato esperienziale, non appartiene alla cronologia, alla scialba successione degli eventi scandita dall’arido rapporto di causa-effetto, bensì a un altro tempo, che è interiore, una durata emotiva che ha il ritmo del respiro, della fatica fisica e psichica di quegli uomini e quelle donne che furono protagonisti dei fatti messi in scena.

Ne Gli indesiderati d’Europa convivono, giustapposte, due diramazioni temporali, che rendono conto della duplicità di una natura che non può essere imbrigliata, ridotta e appiattita in un congelamento plastico, visivo, poiché è il fuori campo ciò che sembra davvero interessare Ferraro, ovvero quanto da sempre sfugge al tentativo di presa dell’usuale atteggiamento intenzionale. I dialoghi nel film sono minimi: emergono solo, come voice over, per l’appunto, le riflessioni di Walter Benjamin (Euplemio Macrì) scaturite dal viaggio verso la Spagna franchista per sfuggire alle persecuzioni tedesche in terra francese; a questo movimento ne corrisponde un altro, in direzione contraria, quello dei catalani e miliziani internazionalisti. Gli uni e gli altri cercano la libertà. Ma dov’è? (Impossibile non essere visitati, anche solo per un istante, dal film di Roberto Rossellini del 1954). Viene a crearsi un doppio movimento che sembra quasi annullarsi, come se si svolgesse all’interno di un nastro di Möbius che rende impossibile un reale avanzamento, piuttosto un avvitamento, una torsione, tra l’altro magnificamente restituita da Ferraro che, con un movimento di macchina aerodinamico, come raramente se ne sono visti al cinema, mostra esattamente l’impossibilità di una concreta, quantificabile, progressione spaziale.

La vita dell’universo – riferisce a un certo punto Benjamin – tende a ripetere sempre le stesse forme di rappresentazione. E aggiunge che la Verità della Storia può esser detta solo da un anonimo. Con queste affermazioni sembra che si alluda a una forma di soggettività estromessa dalla rappresentazione, dall’ordine simbolico, poiché quella Verità sempre ricercata non può essere costretta in una forma, nel linguaggio, laddove questa traduzione forzata comporterebbe un inevitabile tradimento. La macchina da presa di Ferraro, che indugia eroicamente e ostinatamente sulle lunghe camminate dei protagonisti attraverso i sentieri che conducono alla sospirata frontiera, vuole proprio far trapelare lo sforzo sovrumano di chi è stato costretto a cercare nuovi lidi per accedere a un’esistenza non oppressa dalla iattura dei totalitarismi: è quell’angoscia, nonché quella speranza, che dev’essere in qualche modo posta all’attenzione. Il cuore malato di Benjamin venne duramente provato da un cammino faticosissimo: questa è una circostanza, tra le altre cose, che doveva essere assolutamente testimoniata, a costo di realizzare un film che sottoponesse chi guarda a uno sforzo di penetrazione emotiva, di immedesimazione. La ricerca costante della dilatazione temporale, le inquadrature atipiche (spesso prive di soggetti al loro interno, o caparbiamente fisse), l’azzeramento dei dialoghi, il cortocircuito continuo della rappresentazione configurano un’opera di grandissimo valore, che, ancora una volta, costituisce la prova di quanto il cinema italiano possa contare su una generazione di autori di grande personalità, in grado di dar luogo a un’importante rifioritura, di cui si sente fortemente, oggi più che mai, la necessità.

Recensione di Luca Biscontini

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