L’immortale di Marco D’Amore, nel ricollegarsi alla serie Gomorra, offre ottimi spunti di riflessione.
Grande è la confusione sotto il cielo
È nato prima l’uovo o la gallina? L’arcinoto paradosso, quel popolare enigma che conosciamo sin da bambini, potrebbe facilmente tornare in auge, quale tentativo di spiegare cosa sta accadendo nel sempre più frastagliato e variopinto terreno dell’audiovisivo.
La contemporaneità, non paga del proliferare di sequel e prequel, sta avvallando ad esempio la prassi del reboot. E a ridosso di operazioni cinematografiche (o televisive o letterarie) di successo nascono costole, filiazioni, cloni d’ogni tipo. Saghe cinematografiche e serie televisive giocano quasi a rimpiattino, nel contendersi la fidelizzazione dello spettatore. Con risultati non sempre eccelsi, a livello artistico, ma in grado di generare un fecondo cortocircuito di idee, tale da foraggiare poi ulteriori riflessioni critiche e di taglio sociologico sulle nuove frontiere dell’immaginario.
«Grande è la confusione sotto il cielo. La situazione è eccellente», affermava un tempo Mao. Eccellente, nel caso specifico, lo è senz’altro per le sempre più diversificate possibilità di analisi e di approccio. Ciò che è accaduto in questi ultimi anni nella galassia lontana, lontana di Star Wars può costituire già, nel bene e nel male, un validissimo esempio. Ma se guardiamo più vicino a noi, nel microcosmo indubbiamente stratificato di Gomorra, tante scie si sono mosse dalla matrice originaria, portando infine alla realizzazione de L’immortale di Marco d’Amore.
L’uovo di Saviano e l’uovo di Garrone
Abbiamo accennato a una matrice originaria. Sì, ma quale? Se in principio fu Gomorra, ed è ovvio, dobbiamo cominciare subito a operare distinzioni tra le diverse forme espressive. Tale titolo rimanda tanto al bestseller letterario di Saviano che al pluripremiato film di Matteo Garrone.
Lasciando perdere primogeniture varie, uova e galline, ci conviene partire proprio dal Gomorra cinematografico, a nostro avviso una delle migliori opere di Garrone, perché riconoscerne il valore è già un ottimo punto di partenza: il caso che ci si pone di fronte è difatti quello, non così comune, in cui l’adattamento cinematografico ha superato nettamente, in termini qualitativi, il pur vendutissimo libro da cui traeva ispirazione.
Con una sintesi filmica strepitosa il regista ha saputo insomma rendere la drammaticità, le fosche ironie, i toni lividi, il ritmo incalzante di un così fitto tessuto narrativo che, oltre ad affrescare il clima di una città nella quale la Camorra riesce talvolta a sostituirsi allo Stato, funziona benissimo sotto il profilo della crime story. Cinema allo stato puro.
Serializzare conviene?
Da tale successo se ne è però generato un altro: costola in continua espansione delle opere succitate, Gomorra – La serie è andata avanti a spron battuto dal 2014 ad oggi, mettendo in cascina 4 seguitissime stagioni e rendendo assai popolari presso il grande pubblico personaggi come Gennaro “Genny” Savastano (Salvatore Esposito), Ciro “L’immortale” (appunto…) Di Marzio (Marco D’Amore) e donna Immacolata “Imma” Savastano (Maria Pia Calzone).
L’operazione è stata portata avanti con indubbia professionalità, specie se si considera che in regia si sono alternati nomi come Stefano Sollima, Francesca Comencini, Claudio Cupellini, Claudio Giovannesi e lo stesso Marco D’Amore, mentre in fase di scrittura oltre a Roberto Saviano sono accreditati i vari Giovanni Bianconi, Stefano Bises, Leonardo Fasoli, Ludovica Rampoldi e Maddalena Ravagli.
Con tanto becchime a disposizione pare, ad esser sinceri, che la gallina o meglio il pollastro abbia gozzovigliato un po’ troppo, cominciando a far rimpiangere l’uovo: una quota del successo della serie può infatti essere attribuita all’eccessiva mitizzazione di certi personaggi e di quel loro stile di vita spinto costantemente verso il limite, soprattutto da parte del pubblico più giovane, sicché delle tensioni originarie si percepisce giusto l’ombra e altre derive cominciano a sovrapporsi ridefinendone l’andazzo narrativo.Tesi forse un po’ azzardata, da parte nostra, proprio il nuovo passaggio sul grande schermo dovuto alla realizzazione de L’Immortale ha in parte rivitalizzato il “brand” in questione, pur rispondendo anch’esso a determinate logiche di mercato. Ma per contestualizzare meglio l’accaduto osserviamo più da vicino la genesi del lungometraggio appena distribuito nelle sale.
I morti non muoiono
Molto efficace ci è parsa la sintesi proposta dalla collega Marina Pavido su CineClandestino, recensione di cui proporremo ora alcuni stralci: “Gli appassionati delle serie televisiva Gomorra – La serie, di certo ricorderanno con (relativo) affetto il personaggio di Ciro di Marzio (impersonato da Marco D’Amore), il quale, verso la fine della quarta stagione, era stato ucciso con un colpo di pistola da Genny Savastano, suo unico, vero amico. Ma saranno davvero finite così le cose? Come già il titolo di questo ultimo lavoro diretto e interpretato proprio da Marco D’Amore sta a indicarci – L’immortale, appunto – sembrano ancora esserci speranze per il giovane e combattivo Ciro.”
Più avanti, per spiegare meglio l’aggancio alla serie: “Tale lungometraggio – che sta a fare perfettamente da ponte tra la quarta e la quinta stagione della fortunata serie – si apre, appunto, con il corpo di Ciro di Marzio che sta affondando nelle acque del Golfo di Napoli, per poi ricollegarsi con un flashback alla Napoli del 1980, anno in cui un potente terremoto ha devastato gran parte della regione Campania. Durante la scossa, dunque, il corpo di un neonato viene salvato da sotto le macerie di un palazzo. Si tratta, appunto, proprio di Ciro, il quale, dopo quell’avvenimento, verrà soprannominato L’Immortale.”
Ecco, oltre alla lucidissima spiegazione, ci troviamo adesso a condividere la sorpresa e oseremmo dire anche l’entusiasmo di Marina Pavido, per la tostissima e coinvolgente resa filmica di tale innesto narrativo. Scrive la giornalista: “Numerose sono – come ben si può immaginare – le scene d’azione, esplosioni e sparatorie presenti ne L’immortale. Così come altrettanto numerosi sono in momenti in cui, inevitabilmente, ci si dedica a riflessioni personali, in un mondo in cui essere “immortali” proprio come il protagonista suona quasi come una condanna.”
Resurrezione
Fatto sbarcare dalla trama addirittura a Riga, in Lettonia, quel redivivo Ciro manovrato sapientemente da Marco D’Amore, sia come personaggio che come vettore di una moderna, tesa, ammiccante storia malavitosa, è divenuto così protagonista di una “resurrezione” personale che fa il paio, in un certo senso, con quella di una saga anch’essa apparentemente immortale (finché qualcuno continuerà a produrla, almeno…) che continua a giocare a rimpiattino con lo spettatore, migrando di continuo dal piccolo al grande schermo, giocando a fare ora l’uovo e ora la gallina. Interessanti geometrie continuano a legare tra loro i destini dei personaggi principali.
L’azione non è mai stata così curata.
Senza contare che azzeccata e descritta molto bene, coi suoi colori decisamente più plumbei rispetto alla cornice partenopea, appare l’inedita location lettone, in cui bande locali e mafiosi russi trascineranno il protagonista nella loro faida, come a ribadire quel senso di “eterno ritorno” e dannazione che ivi si avverte. Speriamo a questo punto che l’attesa quinta stagione di Gomorra – La serie, nel ripristinare logiche narrative più consone al mezzo televisivo, non dilapidi totalmente i sapidi spunti riaffermati da poco sul grande schermo, che nelle scene più ispirate ci hanno persino ricordato il mood dell’inarrivabile lungometraggio di Garrone.