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Misery non deve morire di Rob Reiner, con Kathy Bates e James Caan: la recensione

Probabilmente una delle più belle trasposizioni cinematografiche di un romanzo di Stephen King e una delle regie più ispirate di Rob Reiner. Merito di una sceneggiatura pressoché infallibile di William Goldman, che calibra con efficacia gli elementi fondamentali del racconto. Oscar e Golden Globe per Kathy Bates

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Misery non deve morire è un film del 1990 diretto da Rob Reiner, tratto dal romanzo Misery di Stephen King (1987). Per l’interpretazione della psicopatica Annie Wilkes, Kathy Bates ha vinto sia l’Oscar, sia il Golden Globe, ed è stata inserita dall’American Film Institute al 17º posto nella classifica dei 50 migliori “cattivi” del cinema statunitense. Il film fu un successo per critica e pubblico, realizzando negli Stati Uniti un incasso di 61 276 872$ a fronte di un budget stimato di 20 milioni.

Trama
Paul Sheldon (James Caan), autore di una serie di libri di successo, sta rientrando a New York dallo chalet in cui si è ritirato per scrivere l’ultimo libro, in cui ha deciso di fare morire la sua onnipresente eroina, Misery. A causa della neve esce di strada con la macchina e viene soccorso da Annie Wilkes (Kathy Bates) che lo “ricovera” nella propria casa isolata. Sheldon quindi casca, ma casca in piedi visto che la donna è un’infermiera professionista. Anche se poi non avrà modo di usarli molto, i suoi piedi, visto che Annie è anche una assidua lettrice dei suoi libri, appassionata in maniera fanatica del personaggio di Misery.

Probabilmente la più bella trasposizione cinematografica di un romanzo di Stephen King, e probabilmente una delle regie più ispirate di quel Rob Reiner che già diresse l’indimenticabile Stand by me, guarda caso altro adattamento da King. Qualcosa vorrà dire. Misery è una specie di Elisa di Rivombrosa, protagonista di un ciclo di romanzi simil-Liaia, il cui autore decide di far morire, esausto di esserne dipendente. A nulla servono gli avvertimenti della sua agente (l’improvvisa presenza della divina Lauren Bacall). E allora ecco che si presenta, in tragiche circostanze, la sua più grande ammiratrice, una ex infermiera apparentemente pacioccona. Il resto lo si conosce, tanto celebre è diventato questo inquietantissimo e ansiogeno film in cui non c’è una sbavatura e tutto è architettato con ritmo e tensione.

Merito di una sceneggiatura pressoché infallibile di William Goldman che calibra con esperienza ed efficacia gli elementi fondamentali del racconto (si parte dal disincanto dello scrittore vittima del sistema che continua a essere vittima, ma di un prodotto del sistema, ossia una sua fan, e si arriva a inquietanti riflessioni sul rapporto tra autore e ammiratore, fino alla descrizione del terribile personaggio femminile e le relative ossessioni e ai tentativi di fuga dello scrittore; senza dimenticare la raffigurazione del glaciale paesaggio e delle artigianali indagini dello sceriffo) riuscendo a creare un mix irresistibile e di coinvolta paura. James Caan è al solito professionale e abbastanza sbigottito, ma il film appartiene tutto a una devastante e memorabile Kathy Bates, capace di conferire alla sua instabile Anne qualunque tipo di espressione, emozione, follia. È un film che invita caldamente ogni scrittore a evitare di creare personaggi seriali.

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