Il 12 dicembre arriva in sala grazie a Mariposa Cinematografica e 30 Holding un singolare debutto cinematografico già carico di riconoscimenti: Nancy, opera prima di Christina Choe. Nancy è una donna sola e relegata dalla vita, con una madre ostile e malata. All’improvviso un annuncio in tv pare offrirle un sogno ed una redenzione a cui credere. Davvero quei genitori alla ricerca della loro figlia da trentanni sono la sua origine, il suo futuro e la sua identità?
Una breccia al Sundance Film Festival, dove Nancy ha vinto il premio come miglior sceneggiatura. Al Sitges Film Festival la sua protagonista, la magnetica e destabilizzante Andrea Riseborough, è stata eletta miglior attrice. Nancy ha stregato anche il Rome Independet Film Festival (film di apertura, in anteprima italiana).
Nancy, una fotografia del nostro tempo
Intimità, psiche, emotività, perdita di identità: fotografia che in generale caratterizza il nostro tempo, dove il confine tra verità e finzione, tra virtuale e reale, tra essere e apparire, tra sicurezza in se stessi e fragilità caratterizza la maggior parte di noi. Nancy indaga questo status quo attraverso una situazione limite, un baricentro continuamente instabile, perturbante.
Christina Choe accentra tutto nella indiscutibile maturità attoriale e talentuosa di Andrea Riseborough, che regge Nancy come un apparente fantasma, carica di una sofferenza così profonda da generare una tensione sempre compressa, in bilico tra follia e lucidità, pronta ad esplodere in qualsiasi momento. Nancy è l’emblema della perdita di certezze: precaria, una vita piena di solitudine compensata da un blog e comunicazioni puramente virtuali, con una madre-matrigna malata e depressa, egoisticamente appesa alla carne della figlia, suo unico legame. I propri sogni, la bellezza interiore Nancy li cestina insieme alle lettere di rifiuto delle case editrici a cui spedisce i suoi racconti.
Ognuno elabora a modo proprio la realtà
All’improvviso qualcosa cambia e una casuale notizia in tv sembra dare un senso: nel credere in un legame ancestrale, in una luce primordiale capace di riscattare tutto. Nancy contatta Ellen (J. Cameron-Smith) e Leo (Steve Buscemi), annunciando di essere probabilmente la figlia che la coppia credeva scomparsa da trentanni. Ellen la invita a casa loro per incontrarsi: ognuno elabora a modo proprio esperienze, aspettative e realtà. Ellen è la meno lucida, con la voglia di credere a tutti i costi che Nancy sia sua figlia. Leo, vigile nello sguardo carico di sottili sfumature, si premunisce per non soffrire. I tre decidono di effettuare un test del Dna, aspettando il verdetto esistenziale.
Nancy mantiene quella lucida follia straordinariamente resa, restando sincera e mentendo a se stessa nello stesso tempo. Tutta l’attesa e il vissuto di pochi giorni insieme, le emozioni, i desideri, i timori, le certezze palpano l’aria, l’atmosfera, rendendola irreale, alienante, una dimensione mentale che si fa materia, sostanza.
L’abilità di Christina Choe
Christina Choe raccoglie abilmente luce naturale e colori, mescolandoli in un limbo grigio, in un rapporto con l’immagine claustrofobico e fluttuante, grazie anche al formato di inquadratura scelto e all’uso della camera a mano. In un occhio che rimane esterno e insieme persiste, penetra. Un occhio che rispecchia impietosamente l’America bianca, triste, smarrita, in cerca di identità. Nancy ha alla base un team produttivo composto all’80% da donne, con il supporto di Women In Film, rete mondiale dedicata a promuovere lo sviluppo professionale e la rappresentazione delle donne nei settori legati all’audiovisivo e ai media. La stessa Andrea Riseborough ha scelto Nancy come primo film a cui legarsi con la sua società di produzione, Mother Suckers, lanciata nel 2012.