‘Shooting the mafia’ di Kim Longinotto a Sguardi Altrove
In Shooting the mafia Kim Longinotto racconta cosa è stata Palermo, prima del 1992, attraverso gli occhi di Letizia Battaglia e quello che hanno rappresentato la sua fotografia, le sue emozioni, la sua umanità
Letizia Battaglia-Shooting the Mafia è uno struggente documentario del 2019 di Kim Longinotto, ancora più struggente ora che Letizia Battaglia non c’è più. Viene giustamente presentato all’interno del Festival Sguardi Altrove 2022 ed è già disponibile su Prime video.
Il film è distribuito da I Wonder Picture. ( immagine di copertina).
Shooting the Mafia. La Sicilia e la mafia prima del 1992
Il documentario è l’omaggio a lei e ai nostri grandi eroi del quotidiano, Falcone e Borsellino, all’umanità e alla speranza di cui sono stati portatori. Sembra rivolto soprattutto a chi li conosce poco e poco conosce la storia italiana, siciliana, di prima del 1992. Per il tono didascalico, la scelta dei documenti, le canzoni di sottofondo, l’aspetto narrativo, il film sembra destinato più a un pubblico internazionale. È stato accolto infatti benissimo al Sundance Film Festival.
Noi, in Italia, lo sappiamo quanto è cambiato da allora, dalle stragi del ‘92. Lo diceva la stessa Battaglia, a proposito del film di Franco Maresco(a lei dedicato), La mafia non è più quella di una volta. “Oggi la mafia è elegante, profumata, manda i figli in college in Svizzera: i boss di una volta non si godevano la ricchezza, oggi la mafia è dentro la politica, le istituzioni. É ovunque, in Parlamento, e non so da che parte. È diventata intelligente, ha fatto la trattativa con lo Stato che ha funzionato”.
Lo dice Gaetano Zavatteri, nel suo bel libro Non c’è più la Sicilia di una volta (2017). Prima del 1992 la mafia era la misura di ogni storia. Poi, c’è stato lo sdegno per la morte di Falcone e Borsellino, proporzionato agli eventi, alla risonanza nelle coscienze di ciascuno. Aggiunge Zavatteri che anche il fenomeno Camilleri ha contribuito a raccontarci una Sicilia fatta non solo di mafia, ma rappresentata sotto diverse luci e angolazioni. Omicidi passionali, per piccoli interessi di bottega, di rivalità politica, qualcuno anche mafioso, ma solo qualcuno.
Shooting the Mafia. Le foto e le ferite
In Shooting the mafia, Kim Longinotto racconta cosa è stata Palermo attraverso gli occhi di Letizia Battaglia, la sua fotografia e le sue emozioni. Soprattutto negli anni Settanta e Ottanta. Quando bisognava fare i conti con cinque o addirittura sette omicidi in un giorno solo e la cupezza dell’atmosfera in città. Le ferite forti, la vita cambiata. Non si può essere felici veramente se hai vissuto tutto questo dolore.
Un ripasso emozionale per chi quegli anni li ha vissuti, mentre il documentario sottolinea gli aspetti umani di una donna così umile nella sua determinazione. L’incipit di Shooting the mafia ce la mostra di spalle, con il suo inconfondibile caschetto di capelli rossi, e poi di fronte mentre scatta una foto. Se ne sente il clic e subito dopo la telecamera si sofferma sul suo sorriso appagato.
Letizia Battaglia si racconta
Racconta poi di sé, di come a quarant’anni si sia innamorata di ciò che poteva esprimere con la macchina e non solo scrivendo. Di essere diventata veramente una persona che non china la testa davanti alle ingiustizie, grazie al riconoscimento di ciò che vedeva e fotografava intorno a sé. Di quanto lo sguardo sulla strada e sugli altri sia riuscito a farle ascoltare ciò che avveniva nel suo mondo interiore.
A quarant’anni, perché prima di allora Letizia Battaglia vive la mancanza di libertà di una ragazzina chiusa in casa per volontà del padre. Poi, il matrimonio, appena sedicenne, nell’illusione di emanciparsi. Poi ancora i limiti di un’unione tradizionale del Sud, che non le ha permesso di continuare a studiare, come avrebbe voluto. La vita di Letizia è la storia di un riscatto femminile, di chi riesce a trovare la voce più profonda e il modo per condividerla.
Il dolore condiviso attraverso la fotografia
Non è facile fermare l’immagine dei tanti cadaveri sull’asfalto o nelle automobili, la disperazione delle famiglie. Quasi insostenibile quelle dei bambini uccisi. Kim Longinotto, nell’intervista di Carlo Cerofiliniper Taxidrivers, dice di aver scoperto che in realtà la mafia i bambini li ha uccisi fin dall’inizio. Ha fatto scalpore l’omicidio di Giuseppe Di Matteo (1996), la cui storia è raccontata benissimo in Sicilian Ghost Story di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza. Ma non era il primo. Ce n’è uno fotografato da Letizia Battaglia, che lei non voleva esporre, per il suo conflitto irrisolto tra pudore e amore. Le foto che non ho fatto sono quelle che mi fanno più male.
Condividere il dolore con una macchina fotografica è imbarazzante, difficile fare capire che lo si fa per amore. Ma Letizia il più delle volte ce l’ha fatta con la sua autenticità, diventando un mito, anche se fino a poco prima di morire sosteneva che il successo l’affaticava, molto più dell’amore. Shooting the mafia racconta tutto questo, rendendo in maniera armonica la straordinarietà di una donna e la trama collettiva del nostro Paese. Vergognosa, da una parte, nobile dall’altra. Il ritmo è abbastanza sostenuto: si alternano spezzoni di passato e presente, immagini fisse e in movimento, in bianco e nero e a colori. Testimonianze d’archivio e materiali girati per il film. Con rallentamenti che, quando capitano, non sono mai superflui, bensì carichi di aspettative.
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