Il portaborse è un film del 1991 diretto da Daniele Luchetti. La pellicola affronta, con personaggi e vicende di fantasia, la corruzione diffusa nel mondo della politica italiana a cavallo tra anni ottanta e novanta. Per puro caso, il film uscì nelle sale italiane pochi mesi prima dell’avvio dell’inchiesta giudiziaria sui finanziamenti illeciti ai partiti nota come Mani Pulite, che di lì a poco portò al famigerato scandalo di Tangentopoli e sancì di fatto l’inizio della fine della cosiddetta “Prima Repubblica”. Il film fu prodotto dalla Sacher Film di Nanni Moretti; quest’ultimo ne è anche co-protagonista assieme a Silvio Orlando. Per Moretti fu il primo ruolo principale al di fuori dei film da lui stesso diretti. La sua interpretazione dello spregiudicato ministro Cesare Botero gli valse il David di Donatello come migliore attore protagonista, riconoscimento per il quale condivideva la nomination con lo stesso Orlando. L’opera fu anche presentata in concorso al 44º Festival di Cannes, nell’estate del 1991. Film “premonitore”, che dà occasione a Luchetti, Rulli e Petraglia (sceneggiatori) e Moretti di mostrarci brillantemente il volto nascosto della politica. Con Nanni Moretti, Silvio Orlando, Angela Finocchiaro, Giulio Brogi.
Sinossi
Luciano Sandulli, professore di lettere, arrotonda scrivendo libri e articoli per un autore in crisi. Un giorno viene convocato a Roma dal ministro Botero, che lo assume perché gli stenda discorsi e interventi. Sandulli esita, sconsigliato dalla fidanzata, ma poi accetta. Dopo il primo momento di infatuazione per l’ambiente e per il capo, si accorge però che Botero è un politicante volgare e senza scrupoli, dedito soltanto al culto del potere. Saprà abbandonarlo ritrovando la propria dignità.
1991. Tangentopoli è alle porte, il definitivo crollo di una politica già moribonda sta per avverarsi. Personaggio a cavallo tra la prima e la seconda repubblica, il più giovane ministro del governo, il cattolico marxista (ma sembrerebbe più spregiudicatamente craxiano, anche se in realtà l’ideologia non c’entra una mazza fionda) Cesare Botero, titolare del Ministero per le Partecipazioni Statale, s’avvale di uno staff tecnico efficiente, il quale trova in un giovane e, lui sì, idealista professore liceale meridionale, Luciano Sandulli, l’uomo adatto a fargli da ghostwriter, grazie alla sua scrittura diretta e sicura, le sue citazioni bibliche e poetiche. Ma ben presto l’insegnante si renderà conto della corruzione del suo principale, un cinico e arrogante potente che ha l’unico desiderio di accrescere il proprio potere. È possibile una via di salvezza nella devastata palude politica?
Senza dubbio, Il portaborse rappresenta nel panorama cinematografico italiano l’evoluzione del film di denuncia: non è più, come negli anni Settanta, un’arringa contro il potentato di turno, sia mafioso, politico, terroristico o finanziario, ma è una commedia amarognola, dai toni brillanti eppure preoccupati, un agrodolce spaccato italiano frutto di anni e anni di osservazione della realtà nostrana. La sceneggiatura dei soliti Rulli e Petraglia con il regista Daniele Luchetti (appare nel cammeo, guarda caso, del regista pubblicitario) disegna perfettamente il ritratto di un paese malato e turbolento, e nonostante alcune scene non sempre centrano l’obiettivo (l’archivio elettorale con le schede fasulle) la loro è un’analisi attendibile, veritiera, allarmante.
Importante commedia dell’inizio di un decennio nato finito, Il portaborse è una snella e comunque complessa macchina narrativa nella quale la regia lesta e intelligente di Daniele Luchetti si serve di un cast molto morettiano (il film è prodotto da Nanni Moretti e Angelo Barbagallo) a partire dai caratteristi Antonio Petrocelli, Renato Carpentieri e Dario Cantarelli, e di una certa attenzione nei confronti dei personaggi di contorno: Angela Finocchiaro, Graziano Giusti, Lucio Allocca, Silvia Cohen, Guido Alberti, fino all’istrionico Giulio Brogi. Su tutti si ergono, con due personaggi completamente diversi, il mite, simpatico e colto Silvio Orlando, sempre più italiano medio progressista, e l’arrogante, cinico, antipatico Nanni Moretti, nel ruolo più sgradevole della sua carriera. Rivederlo a distanza di anni, qualche analogia con Il caimano la si trova, pure nelle musiche. Si ride, certo, ma si ride amaro.