Seven, un film del 1995 diretto da David Fincher e interpretato da Brad Pitt, Morgan Freeman, Gwyneth Paltrow e Kevin Spacey. Distribuito il 22 Settembre 1995 in 2.441 cinema, Seven ha incassato 100 125 643 di dollari negli Stati Uniti e altri 227 186 216 nel resto del mondo, per un totale di 327 milioni, a fronte di un budget di 33 milioni. In Italia è arrivato nelle sale durante il periodo natalizio, classificandosi al quarto posto tra i film più visti della stagione cinematografica 1995-96.
Sinossi
Un killer astuto e spietato sta uccidendo a raffica, nei modi più raccapriccianti, personaggi scelti con cura. Sulle sue tracce ci sono il giovane e ambizioso Mills, alla prima missione, e l’esperto Somerset, ormai prossimo alla pensione; personalità opposte che mal si tollerano a vicenda. Imparano a “convivere” man mano che la caccia all’assassino si fa più serrata e il mistero comincia a districarsi: il mostro sceglie le vittime e le uccide seguendo i sette peccati capitali (gola, avarizia, accidia, lussuria, superbia, invidia e ira).
Il secondo deflagrante lungometraggio di David Fincher, Seven, è un thriller atipico (quasi privo di suspense) e nonostante questo di rara potenza, ambientato in una città americana senza nome, metropoli buia, bagnata da una pioggia incessante: una Sodoma contemporanea. Al centro del plot c’è la “collaudata” coppia di poliziotti tipica del cinema hollywoodiano, il nero e il bianco: il primo (Morgan Freeman) è un detective di mezza età a pochi giorni dalla pensione, saggio, intelligente, colto e soprattutto disilluso; il secondo (Brad Pitt), invece, è un rampante ragazzotto americano, sicuramente più ingenuo, che desidera emergere nella “città del diavolo”. Vi è un non comune approfondimento psicologico dei due: questi non sono semplicemente delle figure funzionali all’avanzamento della storia, entrambi portano con sé un vissuto, un diverso bagaglio culturale, e una visione del mondo quasi agli antipodi, e tutto ciò avrà una funzione ben precisa nel dipanarsi dell’intreccio. I due si trovano a dare la caccia a un omicida seriale piuttosto sui generis, il primo tratteggiato da Fincher, che sembra avere una predilezione particolare per personaggi di questo tipo.
In Zodiac (sua terz’ultima, e notevole, pellicola) il serial killer senza volto, motore della vicenda, agiva in maniera insensata, colpendo chiunque (tassisti, giovani coppie ecc.). Nella pellicola in questione, invece, ha un piano ben preciso, si serve addirittura come filo conduttore per i suoi delitti dei sette peccati capitali – come viene detto nel film ad un certo punto “è un predicatore e gli omicidi sono i suoi sermoni” – è convinto che le sue azioni abbiano un senso, legittimato addirittura dalla religione. È convinto di agire in nome di Dio. John Doe (nome proverbiale americano dell’uomo qualunque) imbastisce un piano che vedrà nel potente e a dir poco angosciante finale, la luce. Quest’ultima è presente letteralmente, dato che si tratta dell’unica sequenza in tutto il film ambientata in pieno giorno. Nel deserto viene infatti recapitato un pacco che determinerà l’esplosione di violenza finale, completando così l’ingegnoso disegno dell’omicida che coinvolgerà lui stesso (il suo peccato capitale è l’invidia) e uno dei due poliziotti (quest’ultimo macchiato dal peccato d’ira). La vicenda si svolge in una settimana, ha inizio il Lunedì con il ritrovamento della prima vittima (un obeso, evidente peccatore di gola) e termina la Domenica: i sette giorni della creazione, emuli di quella divina.
John Doe attraverso la morte e la distruzione vuole fare tabula rasa del mondo contemporaneo meschino e corrotto, ed essere così d’esempio, per fondare un nuovo mondo, depurato dai peccati che ogni giorno vediamo commettere nelle strade, per citare le sue parole. Una visione così cupa e morale in un thriller a stelle e strisce è davvero insolita, perfettamente condensata nella bella battuta finale, detta in voice over, da Freeman: “Hemingway ha detto che il mondo è meraviglioso e vale la pena di lottare in suo nome; sono d’accordo solo con la seconda parte”. E il tutto incorniciato dalla messa in scena postmoderna di Fincher (già dai titoli di testa, caratterizzati da un montaggio angosciante e complesso accompagnato dal sound, anche questo angosciante, e acido, dei Nine Inch Nails).