C’è qualcosa di indubbiamente surreale ne Il grande passo, opera seconda di Antonio Padovan dopo Finché c’è prosecco c’è speranza, in concorso alla 37esima edizione del Torino Film Festival. Qualcosa fuori posto, come un piccolo missile spaziale nascosto in un fienile della provincia rodigina, o come Dario (Giuseppe Battiston), che quel missile ha costruito e vorrebbe pilotare per andare nientemeno che sulla Luna. Un film di lunatici, quindi, quello del regista veneto, a partire dai due protagonisti, da Dario stesso, il matto del villaggio, e dal suo fratellastro romano Mario (Stefano Fresi), che vorrebbe dissuaderlo da quei folli propositi ma che ne resterà suo malgrado invischiato.
Lasciatosi dietro le contaminazioni noir del film d’esordio, Padovan torna nella campagna veneta guardando questa volta alla fantascienza e costruendo una commedia capace di mischiare favola e comicità, sprazzi surreali e risvolti sentimentali.
Nella vicenda di due fratelli mai realmente stati tali – complice un padre assente e indifferente – nella loro convivenza forzata e, infine, nella nascita di un amore fraterno sincero e capace di andare oltre i limiti e i pregiudizi della provincia, c’è il senso di un film dolce e delicato, attento alla lezione di un regista come Carlo Mazzacurati e alla sua poetica fatta di luoghi, volti e storie marginali. Un’influenza e un’aderenza evidenti che però, in parte, restano superficiali, incapaci di restituire appieno a quei luoghi e a quei volti uno spessore che vada al di là del semplice luogo comune o del puro macchiettismo.
Eppure, nella sua storia apparentemente lontana e fantastica, Padovan riesce a restituire un ritratto efficace sebbene astratto di un presente e di una provincia chiusi nell’ignoranza e incapaci persino di guardare (o sognare) il cielo. A fare il resto ci pensano Giuseppe Battiston e Stefano Fresi, perdenti e sognatori alle prese con un mondo che non li capisce e che vorrebbe relegarli a semplici e bizzarri personaggi di contorno. Forzando le regole della commedia all’italiana senza però mai sovvertirle o ribaltarle, anzi più di una volta attingendo al suo repertorio (l’immancabile scontro tra Nord e Sud), Il grande passo resta così un film sincero, che riesce a farsi voler bene; leggero, commovente e magico quanto sa essere (da Méliès in poi) un viaggio sulla Luna.