Al 37 Torino Film Festival arriva l’ultima pellicola del regista rumeno Corneliu Porumboiu, La Gomera, già in concorso all’ultimo Festival di Cannes.
Cristi (Vlad Ivanov) è un poliziotto corrotto che lavora presso la procura di Bucarest. Arriva nell’isola de La Gomera nelle Canarie per imparare una lingua composta da fischi. Gli servirà per comunicare con i membri di una banda di narcotrafficanti spagnoli che vuole liberare il loro contatto rumeno Zsolt. E, soprattutto, recuperare i milioni di euro sottratti e nascosti dallo stesso Zsolt. In breve, questa la trama dell’ultima pellicola del regista rumeno Corneliu Porumboiu, componente della new wave del cinema suo paese, insieme a Cristian Mungiu, Radu Mihaileanu, Calin Peter Netzer, conosciuti e premiati nei più importanti festival internazionali. Ma La Gomera è un’opera stratificata e complessa che affronta diversi temi e parla di cinema.
La Gomera però va oltre al semplice gioco citazionistico e si trasforma in un cortocircuito visivo in cui il cinema uccide se stesso per poi rinascere in un contesto metacinematografico dove la realtà è finzione e viceversa.
Innanzi tutto, abbiamo una continuità di un tema che ricorre nella cinematografia rumena e cioè quella della corruzione. Cristi è l’icona di questo stato che si può dire quasi esistenziale, in cui la pratica dello scambio di favori, informazioni e malaffare è diffuso. Il confine tra legalità e illegalità è liquido e confuso. Del resto, anche la procuratrice Magda utilizza metodi poco convenzionali, fabbricando prove false pur di incastrare Zsolt. Così come il viaggio di Cristi in Spagna si rivela un puzzle di doppi e tripli giochi che coinvolgono lui, la polizia del suo paese, i trafficanti spagnoli e Zsolt e Gilda (la sua amante) di cui il poliziotto si è innamorato. Insomma, i ribaltamenti di potere e i tradimenti al quadrato sono una costante, in una società in cui la morale è inesistente e vige solo l’interesse personalistico del momento.
Un altro tema interessante di La Gomera è l’ossessione scopica del controllo. Tutti sono spiati e osservati. Lo è Cristi dai suoi colleghi che lo guardano riprendendone la vita con telecamere nell’appartamento. Lo è Gilda controllata a vista da Paco nella villa sull’isola. Anche Magda non può parlare nel suo ufficio in procura per la presenza di microspie. E telecamere nascoste sono nel motel alla periferia di Bucarest, dove Cristi incontra in segreto Zsolt. O ancora, tutto il monitoraggio della fabbrica di Zsolt sotto osservazione dalla polizia. Insomma, c’è un profluvio di monitor onniscienti e onnipotenti che osservano, registrano e conservano. Uno sguardo in cui esistono tanti “grandi fratelli” e dove la privacy risulta assente e l’unica azione che ha un senso è mentire e recitare una parte confacente al momento per sopravvivere.
L’isola diventa un genius loci, uno spazio geografico e mentale che produce senso – imparare a comunicare in modo diverso con i fischi – ed emozioni.
Ma La Gomera è soprattutto, come abbiamo accennato, un’opera sul cinema. Porumboiu si diverte (e diverte lo spettatore) con una miriade di citazioni cinematografiche. Gilda (una brava Catrinel Menghia, alla sua vera prima parte da protagonista) è una femme fatale che ricorda sue antenate del cinema noir classico. Cristi sembra uscito da un polar di Jean-Pierre Melville. Abbiamo omaggi ad Alfred Hitchcock, come ad esempio Psycho, con la sequenza nella parte finale de La Gomera girata nel motel in Romania, quando il proprietario vorrebbe uccidere la donna nella doccia. Oppure nel finale, che ricorda James Stewart alle prese con Kim Novak in Vertigo. Ci sono omaggi al cinema spionistico e al western con parti di film trasmessi nei televisori accesi. Il cinema western è omaggiato di nuovo nella sequenza dell’eliminazione della banda di trafficanti spagnoli in un set cinematografico abbandonato. E, non ultimo, le continue riprese con i monitor dei vari spazi chiusi ricordano Osterman Weekend, l’ultima pellicola di Sam Peckinpah.
La Gomera si rivela un’opera matura, un peana all’amore per il cinema e Corneliu Porumboiu si conferma come uno degli autori più interessanti e intelligenti di questi ultimi anni.
La Gomera però va oltre al semplice gioco citazionistico e si trasforma in un cortocircuito visivo in cui il cinema uccide se stesso per poi rinascere in un contesto metacinematografico dove la realtà è finzione e viceversa. Un regista arriva nel capannone in cui la banda di spagnoli è riunita per discutere della liberazione di Zsolt. E lì per un sopralluogo per un suo film. Lo fanno entrare e inquadrando in campo medio in esterno l’edificio sentiamo lo sparo. Magda, che compie il sopralluogo sul set abbandonato con Zsolt per preparare la trappola, dice: “Abbiamo arrestato il produttore e messo sotto sequestro l’intero set”. Insomma, si eliminano i registi e si arrestano i produttori. Il cinema uccide se stesso oppure è il potere poliziesco che si atteggia a carnefice? Porumboiu confonde anche nella scrittura della sua sceneggiatura ed entrambe le interpretazioni possono essere corrette. Il regista rumeno utilizza uno stile dove il contrasto tra notte e giorno, tra luce e buio, tra riprese televisive e cinematografiche è costante. La narrazione avanza attraverso flashback, in un gusto postmoderno rafforzato dalla composizione a capitoli ognuno dedicato a un personaggio.
Ed è significativo che a uno di questi sia intitolato La Gomera. L’isola diventa un genius loci, uno spazio geografico e mentale che produce senso – imparare a comunicare in modo diverso con i fischi – ed emozioni. È qui, nel momento in cui Gilda dirà che il rapporto avuto a Bucarest era solo per convenienza, che Cristi si innamorerà della donna e cercherà di salvarla. La Gomera si rivela un’opera matura, un peana all’amore per il cinema e Corneliu Porumboiu si conferma come uno degli autori più interessanti e intelligenti di questi ultimi anni.