La felice accoppiata Delepine/Kervern produce un altro piccolo splendido film. La forza rivoluzionaria e incendiaria del precedente Louise-Michel è attenuata e qui si respira un’aria pacata e malinconica. Non a caso la pellicola finisce con una poesia del protagonista Serge Pilardosse, detto Mammuth, interpretato in modo straordinariamente aderente da Gerard Depardieu. Una poesia dedicata al lavoro, alla presa di coscienza della sua alienazione, della sua sofferenza. Una sofferenza che le persone deboli subiscono e accettano senza piena consapevolezza, senza avere la forza di reagire. E, se questa volta il protagonista non troverà la forza di ribellarsi fattivamente, tuttavia proverà ugualmente l’ebbrezza della liberazione, o almeno dell’idea della liberazione.
Mammuth è un uomo che dopo una vita di lavori manuali, precari ed occasionali va, o almeno prova, ad andare in pensione. La ricerca dei documenti che potrebbero permettergli di godersi il meritato riposo diventa un viaggio a ritroso nella sua vita e nei suoi ricordi. Una vita semplice, piena di ingenuità ma anche di verità. Un evento lo ha segnato sopra ogni cosa: il primo amore e la sua perdita. Isabelle Adjani è la giovane donna che ha amato in modo travolgente e della cui scomparsa non è riuscito a farsi una ragione, al punto che il ricordo lo insegue, come un fantasma, come un angelo custode che lo rincuora, gli dà forza.
Oggi Mammuth ha al suo fianco una moglie che gli assomiglia, che è invecchiata con lui, che ha incontrato in un momento di sofferenza e con la quale conduce un’esistenza normale, forse banale, priva di quel bagliore intenso che avvolgeva il suo primo amore, eppure anche con lei riesce a condividere spazi di serenità che sembrano delineare piccole isole di resistenza all’oppressione del mondo e delle sue leggi spietate. Nel suo cammino di liberazione ha un ruolo importante l’incontro con la giovane nipote che aveva perso di vista da molti anni. Una ragazza stravagante e fuori dalle regole che riesce a inoculargli quella necessaria dose di follia e insubordinazione, efficace antidoto di resistenza alle angherie della società.
In questo film siamo, dunque, all’interno di un percorso più intimistico che, tuttavia, non rinnega le pulsioni più forti che sostenevano il precedente lavoro, offrendo uno sguardo più personale, più tenue, più riflessivo. Lo stile di ripresa rappresenta una scelta coraggiosa e avvincente, in quanto il film è girato in pellicola super 16 reversibile, con una fotografia sgranata, ricca di colore, come nei film in 8 mm. Un patrimonio di ricordi agita il passato: è tempo della rievocazione, della sospensione, della stasi, ma anche dell’immaginazione che ricostruisce la memoria rendendola capace di fondare un nuova idea di futuro.
Pasquale D’Aiello
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