L’Anima Vista Da Qui: intervista a Gianluca Grandinetti, regista del documentario sui Negramaro
A vent'anni dalla nascita del gruppo musicale i Negramaro, Gianluca Grandinetti ha realizzato un documentario per raccontarne la storia. Lo abbiamo incontrato
La parte iniziale e conclusiva sono quelle più poetiche dell’intero docufilm. Il testo, scritto da Giuliano Sangiorgi, da chi è invece letto?
Il testo è letto da Alessandro Borghi.
Com’è nato il documentario?
In verità, l’idea del documentario è nata a posteriori. Ho conosciuto Andrea Mariano e Lavinia Biancalani, in quanto cercavano una figura che affiancasse la band e raccontasse i Negramaro nel mondo del web, del digital. Mi hanno lasciato molta libertà, c’erano dei giorni in cui giravamo di getto, d’intuito: i ragazzi erano molto felici della loro immagine tramite il mio lavoro. Ci siamo anche molto divertiti. Un po’ di materiale è stato utilizzato per raccontare nei social la nascita dell’album, anziché il live o un evento in particolare. Dopo un anno e mezzo circa, si sono instaurati naturalmente anche dei rapporti di amicizia e a volte mi ritrovavo a girare pure in situazioni non lavorative: ad esempio, in vacanza in Grecia. Giuliano Sangiorgi mi ha chiamato un anno fa, proponendo l’idea di raccontare gli ultimi tre anni dei Negramaro, così densi di emozioni.
Dietro il documentario, c’è un lavoro di montaggio non indifferente. Come mai hai deciso di inserire dei video amatoriali del passato, girati in prima persona da Andrea?
Quello è l’unico materiale extra che abbiamo inserito. Non volevo raccontare in maniera cronologica i venti anni dei Negramaro, bensì volevo far vedere semplicemente chi erano venti anni fa e poi catapultare gli spettatori direttamente nel presente, nella realtà Andrea, allora, aveva una telecamerina ed era il più abile a girare video.
L’Anima Vista Da Qui non è solo il racconto di un gruppo musicale, ma soprattutto la storia di un’amicizia viscerale e di una famiglia che cresce sempre di più.
È proprio quella la chiave di lettura del documentario: mostrare come sono realmente i Negramaro. Ormai siamo abituati a sbirciare, a raccontare tramite i social network, sfruttando mille filtri. Nel documentario, invece, ho provato a far vedere chi sono realmente loro: con me si sono aperti molto velocemente e questo mi ha consentito ovviamente di girare queste immagini in maniera agevolata. È una cosa molto rara, secondo me.
C’è un aspetto del documentario che hai curato maggiormente?
Le scene del documentario sono state girate da una sola macchina da presa, in tutte le varie situazioni, e questo ha reso ancor più difficile la fase di assemblaggio. Quello che mi sono prefissato è voler raccontare la semplicità, come prendere un telefono in mano e girare direttamente un video.
Le domande delle interviste erano state preparate?
Le domande sono state rivolte ai componenti del gruppo successivamente, come collante del materiale. Questo documentario non ha un inizio e una fine, non me la sentivo di affrontare un lungometraggio più lungo: volevo semplicemente che fosse un’esperienza. Ci sono veramente pochi aspetti artefatti dietro questo lavoro. Questa cosa un po’, inizialmente, mi preoccupava, poiché la gente è più abituata alla finzione. Da quello che invece sto leggendo, fortunatamente, gli spettatori stanno apprezzando molto il documentario.
Come hai lavorato nel periodo del malessere di Lele?
Il malessere di Lele è stato un blackout generale per tutta la famiglia dei Negramaro: si è fermato tutto quanto. Molte scene in cui lui è presente erano state girate precedentemente e questo dà un significato particolare al documentario. Ho aggiunto successivamente soltanto la sua intervista: non volevo calcare la mano su questa storia. Secondo me, è molto meglio far percepire quanto necessario. La gente comprende le parole che Lele pronuncia, ma soprattutto quello che invece non dice. Quest’aspetto, per me, è molto importante.
Anno: 2019
Durata: 41'
Genere: Documentario
Nazionalita: Italia
Regia: Gianluca Grandinetti
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