Parte veloce come un fulmine, Jojo Rabbit di Taika Waititi, film di apertura della 37° edizione del Torino Film Festival, illuminando di una genuina carica dissacrante e irridente gli orrori del nazismo, della sua storia, della sua insinuante ideologia. Eppure bastano pochi minuti, una volta esauritasi le gag e le trovate esilaranti, per capire che l’autore di Thor: Ragnarok e, soprattutto, di quel Vita da vampiro – What We Do in the Shadows che ne aveva rivelato al mondo l’umorismo caustico e sferzante, non vuole semplicemente costruire un divertissement scorretto e fine a se stesso.
Nella vicenda del piccolo Jojo (la rivelazione Roman Griffin Davies), ragazzino dolce e gentile ma infarcito di propaganda nazista, c’è infatti tutto il senso di un’operazione che vuole farsi prima di tutto viaggio di formazione, racconto a misura di bambino sulla liberazione dagli orrori della Storia e, soprattutto, da quell’ideologia assurda che li ha partoriti.
Un’ideologia che prende la forma di un grottesco e macchiettistico Adolf Hitler, amico immaginario e spalla comica di Jojo, cui lo stesso regista presta corpo e voce in una sorta di ammiccamento a Il grande dittatore di Charlie Chaplin, ma che non si accontenta di esaurirsi nella farsa e nei siparietti comici (comunque tra le trovate più felici del film), desiderosa com’è di riversarsi in un film capace di alternare rapidamente commedia e tragedia, comicità slapstick e dramma sentimentale.
È proprio questa (inevitabile) commistione, però, che Waititi non sembra padroneggiare pienamente, dilungandosi in dialoghi e sequenze dal sapore risaputo (gli scambi tra Jojo e la madre Scarlett Johansson) e perdendosi in una vicenda a tratti prevedibile e (siamo pur sempre in un racconto per ragazzi) dall’intento visibilmente educativo.
Ma, al di là dello sviluppo poco uniforme, dei cambi di registro repentini e poco bilanciati, Jojo Rabbit rimane quello che dovrebbe essere: una favola (nerissima, certo) sull’infanzia e sulla resistenza al Male che riesce, nonostante tutto, a conservare la sua leggerezza e la sua purezza di fondo, il sorriso e la speranza, forte e vitale come dei passi di danza accennati tra le macerie di un mondo da ricostruire. Ieri come oggi.