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Riff Awards 2019: Tremors di Jayro Bustamante

Presentato al Riff, Tremors di Jayro Bustamante è il dramma di un padre omosessuale in una repressiva comunità evangelica

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In un paese fortemente cristiano del Centro America va in scena la storia di un giovane padre che dichiara la propria omosessualità, ma dovrà fare i conti con una comunità chiusa e conservatrice, incapace di accettarlo, nella quale dovrà combattere un’ardua battaglia per non perdere il legame con i propri figli. Quando si è costretti a rinunciare ad un amore per amore, scusate la ridondanza di parole, vuol dire che c’è qualcosa che non va, forse è un problema di libertà, di discriminazione, ed in questo Tremors si racconta bene: un film sulla sconfitta di una comunità, il racconto di una società che ha perso; è proprio questo il secondo lungometraggio del regista guatemalteco Jayro Bustamante, presente nella sezione Panorama all’ultima Berlinale, qualche mese prima de La Llorona a Venezia per le Giornate degli autori, ed oggi al RIFF di Roma, un giovane regista interessante che ha a cuore i temi delle comunità e dei suoi fallimenti.

Il tema portante è quello della famiglia. La famiglia di Pablo, che lui vuole tenere unita per stare con i suoi figli anche se non glielo permettono, e quella dei genitori, dei parenti e dei fratelli tutti, che “lo mettono alla porta”, a meno che non vi sia un recupero e una redenzione dal “peccato”.  Resistere e adeguarsi al volere della moglie e dei genitori, dei fratelli e dei cognati, ma soprattutto come lo implora sua madre che lo invita a rinnegare la tentazione del peccato, del demonio, per ricongiungersi a Dio.

Bustamante si occupa dei temi della famiglia, si, ma anche delle contraddizioni e delle oppressioni della chiesa e delle orrorifiche “terapie riparative” in ambito LGBT. Lo fa senza romanzare troppo le vicende del film, con una buona vicinanza ai personaggi e con una predominanza del racconto in scena, non ci sono musiche extradiegetiche praticamente mai, tutto avviene dentro l’essenza della narrazione, una scelta che da un lato premia in termini di purezza e verità, ma dall’altro, forse coinvolge un po’ meno lo spettatore, portando anche a un deficit per ciò che concerne il ritmo.

Se il film non si vuole “snaturare” dal punto di vista audio, un po’ lo fa invece dal punto di vista visivo: il quadro molto spesso si compone per focus, tra fuoco e fuori fuoco, lasciando spesso altrove la profondità. Una scelta, quindi, più incisiva sul tono dell’espressività delle immagini, che sa utilizzare sapientemente anche la luce, il tutto per una regia e una messa in quadro creativa, ma tuttavia di un’espressività sottile. La macchina talvolta sta vicino ai personaggi, li ascolta, li “odora” quasi, ma il giusto senza farsi mai troppo invadente. Perché quello di Bustamante è un film comunque misurato e sincero in questi stilemi, che sa alternare la giusta distanza, mai sopra le righe, mai al limite o controverso, pur essendo forte nei temi, soprattutto nel contesto sociale che racconta e in cui Pablo si deve confrontare.

La misura, in parte, viene meno solo nell’evidenziare i rituali pieni di trasporto e al limite del grottesco nella chiesa evangelica, ove i fedeli si rifugiano a pregare per il povero Pablo, perché “diverso”, perché scivolato nel peccato: “perché Dio non abbandona l’uomo peccatore, ma ne condanna il peccato”, come dirà ad un certo punto il pastore; questo il nucleo tematico dove è più sottile la linea che separa il reale dal limite del surreale. Così come a tutto questo si contrappone invece la forza della natura, i tremori, le scosse di terremoto (temblores) che si abbattono sulla Città di Guatemala, che sono metafora ed espressione della tensione interiore, nonché fra Pablo e la comunità in cui è costretto a combattere.

A rendere questo film di assoluto rilievo è anche la recitazione misurata e molto convincente del protagonista Juan Pablo Olyslager, pur nella disperazione e nell’essere dimesso, nonostante la repressione della comunità, i familiari ostili, lontani, che sembrano in fin dei conti dei nemici alla quale consegnarsi come ostaggio. Jayro Bustamante nel suo passaggio nella rassegna romana, ci lascia un film di spessore sulla libertà dell’amore, sulla sua sottrazione e sulla rinuncia, un racconto puro che sa intavolare discorsi pesanti senza risparmiarsi e senza calcare i toni, con una sua cifra poetica e stilistica, che lo impone fra le nuove leve da tenere d’occhio nell’opera cinematografica a venire.

  • Anno: 2019
  • Durata: 107'
  • Genere: Drammatico
  • Nazionalita: Guatemala, Francia, Paesi Bassi
  • Regia: Jayro Bustamante

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