60 Festival dei popoli: Caterina, intervista a Francesco Corsi (Concorso Italiano)
Il film di Francesco Corsi ricostruisce la figura di Caterina Bueno, la celebre etnomusicologa e cantante italiana, il cui lavoro di ricercatrice ha avuto una notevole importanza dal punto di vista culturale, consentendo di recuperare molte canzoni popolari toscane e dell'Italia centrale, tramandate oralmente fino al ventesimo secolo. Ne abbiamo parlato con il regista
Da che cosa nasce la volontà di realizzare un documentario sulla figura di Caterina Bueno, al di là dei dieci anni dalla scomparsa?
Paradossalmente, è una domanda abbastanza difficile. In realtà ci sono più motivi, il primo è quello legato, in qualche modo, a un ricordo d’infanzia. Sono canzoni che ho comunque sempre sentito riecheggiare, sia come ninna nanne molto particolari, sia come filastrocche. Poi, però, ci sono stati anche altri fattori, come l’incontro con persone che hanno avuto a che fare con Caterina (musicisti, amici, compagni di strada). Entrando in contatto con loro ho cominciato a interrogarmi sul perché una persona che avesse fatto così tanto per recuperare un pezzo della nostra memoria, come Caterina, fosse così poco ricordata. È da questa specie di paradosso che è scattato qualcosa. La coincidenza, poi, ha voluto che si fosse più o meno intorno ai dieci anni dalla morte.
Perché ha deciso di raccontare la vita e l’operato di Caterina non in maniera cronologica e, soprattutto, attraverso commenti, impressioni e testimonianze di persone che hanno avuto in qualche modo a che fare con lei?
Questo è dovuto alla trasformazione che ha avuto il documentario in corso d’opera, dal momento che è stato scritto e riscritto. All’inizio, la mia idea era quella di fare un documentario di impronta più classica, che avesse un andamento più lineare anche a livello cronologico. Il personaggio, però, si prestava a un altro tipo di interpretazione e di lettura. Era talmente tanto densa la vita e la figura di Caterina che mi è sembrato troppo “presuntuoso” voler costringerla in un arco temporale cronologico e, soprattutto, mi è sembrato più interessante ragionare su quello che Caterina aveva lasciato nei personaggi che lei aveva incrociato. Perché ognuno di loro incarna una sorta di particolare eredità: da una parte chi, a seguito dell’incontro con Caterina, ha trasformato la propria vita, dall’altra chi ha trovato una strada musicale o artistica che non era pensabile. Inoltre, attraverso “l’insegnamento” di Caterina si sono aperte strade di nuova indagine sulla canzone popolare anche in altre parti rispetto alla Toscana. In realtà, nel documentario non c’è solo la memoria riflessa di queste persone, ma il cosiddetto filo rosso che lega tutto il film è la voce di Caterina che ho ritrovato in molti archivi. È Caterina il personaggio principale come presenza di voce e testimonianza.
La scelta di lunghi piani sequenza (molti dei quali paesaggistici) è strettamente e unicamente legata al fatto di poter ascoltare la voce di Caterina e concentrarsi solo ed esclusivamente su quella?
In molti casi c’è stata anche l’esigenza di trovare un modo per evidenziare la presenza e il peso specifico di quello che Caterina stava dicendo e testimoniando. In molti casi la sua voce fa da contrappunto a snodi narrativi. Serve come collegamento, ma anche come testimonianza reale. Il film è andato formandosi con un dialogo continuo tra me e il direttore della fotografia e poi, in seconda battuta, anche con il fonico in presa diretta, e questa scelta ha influenzato la messa a punto dell’opera. In alcuni punti specifici si è scelto di privilegiare sequenze lunghe e piani larghi con un investimento importante sul sonoro. Lo scopo era quello di rendere il film un qualcosa dove l’immagine doveva essere importante, così come anche il suono.
Sempre a livello tecnico, la decisione di alternare alle cosiddette “immagini di repertorio” molti primi piani con particolare attenzione ai dettagli serve a conferire una maggiore immersione nella storia?
Io volevo che la vita di Caterina fosse raccontata il più possibile per suggestioni e riflessi. Per questo il concetto di intervista classica è una delle cose che ho abbandonato quasi subito, sostituendola con un’interazione con la persona che parla. Quasi sempre siamo già in mezzo a una scena, in mezzo a una conversazione ed è una riflessione continua che passa da una persona all’altra, che non segue una linea cronologica. Cronologica è invece la scelta dei materiali di archivio e di repertorio e questo l’ho usato come contrappunto. Mi piaceva creare un qualcosa in cui lo spettatore ad un certo punto non si chiedeva più in che momento era collocata la scena o se si parlava di Caterina giovane o più matura. Mi piaceva che in ogni momento il pubblico si potesse orientare nel mosaico che è stata poi la vita artistica e personale di Caterina.
Qual è lo scopo del documentario? Io ho riscontrato da una parte la volontà di sottolineare il ricordo e la memoria di Caterina e quello che lei ha lasciato agli altri, ma dall’altra parte anche una riflessione sulla sua figura storia, soprattutto nel campo della musica.
Queste due sono le assi preponderanti del perché ho fatto questo film. Poi c’è anche un altro elemento, che mi piace ricordare, ed è una cosa che anche Caterina dice nel film riguardo il confrontarsi col canto popolare e quindi con una memoria. Questo significa sempre fare i conti anche con il presente, perché riflettere su passato serve anche a capire dove siamo adesso e in qualche modo interrogarci sul perché siamo qua. Credo che il canto popolare da questo punto di vista sia un ottimo strumento per capire il presente, perché ha una valenza universale nel tempo, ma anche nello spazio.