L’ultima notte è liberamente ispirato ad un drammatico fatto di cronaca nera che sette anni fa accadde nella provincia romagnola. Il regista Francesco Barozzi ne fu colpito al punto da costruirvi attorno una trama, insieme allo sceneggiatore Luca Speranzoni, che dopo una prolungata e minuziosa lavorazione si è trasformata nel 2018 in un film indipendente dal forte impatto emotivo. Presenti in sala il protagonista maschile Giuseppe Sepe e lo scenografo e costumista Emanuele D’Antonio che hanno dialogato con gli spettatori, il lungometraggio è stato proiettato al Ravenna Nightmare nella stessa intensa giornata in cui anche Liliana Cavani, in qualità di ospite d’onore della XVII edizione del festival, ha incontrato il pubblico e ha introdotto la suggestiva versione restaurata de Il portiere di notte (1974). La celeberrima pellicola di Cavani e il recente film di Barozzi, oltre ad avere in comune un titolo notturno, prendono entrambi le mosse dal ritorno di una persona creduta persa per sempre. Lì era l’amante, qui è la sorella (Bea, interpretata dalla validissima Beatrice Schiros) a ricomparire inaspettatamente dopo una lunga separazione, portando con sé il ricordo di un passato traumatico in grado di sconvolgere l’apparente tranquillità del presente.
Bea ha perso il lavoro che faceva in città e torna a vivere nella vecchia casa di campagna dove è nata e cresciuta. Ma sotto lo sguardo glaciale di Sepe (nel ruolo del fratello Franco, scontroso allevatore di vacche), uno sguardo che buca lo schermo, comincia una lenta e inesorabile discesa agli inferi, racchiusa tra i muri marci del casale e la stalla per l’allevamento intensivo di bovini in cui lavora l’uomo. Ogni forma di vita, a cominciare dalla proliferazione dei vermi, suggerisce la morte. I parenti di Bea (oltre a Franco c’è la sorella Emi, impersonata da Francesca Turrini) sembrano condurre esistenze interrotte. Nell’ambiente freddo e oscuro, nel quale tentano di interagire tra loro, il tempo pare essersi fermato a quarant’anni fa: il telefono ha ancora la cornetta, la carta da parati arriva a metà parete, sia le stanze che le persone trattengono tutto dentro in modo disordinato e sterile. Mentre pian piano riemergono gli incubi dell’infanzia, Bea cerca l’aiuto della gente del luogo per arrestare l’implosione e noi la seguiamo col fiato sospeso perchè il finale non è affatto scontato.
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