Era il 1984 quando per la prima volta facevamo la conoscenza di una macchina dalle fattezze umane (ovvero quelle di Arnold Schwarzenegger) dal nome Terminator, incaricata di uccidere Sarah Connor (interpretata da Linda Hamilton), futura genitrice del salvatore dell’umanità. Sono passati ben 35 anni e tornano sia l’uno che l’altra, con tutto il tempo trascorso nel mezzo sulle spalle, per dare vita al sesto capitolo del franchise, sebbene sia un sequel diretto del secondo (risalente al 1991).
A redigere la sceneggiatura e riunire così la band ci pensa James Cameron, che si limita però alla scrittura lasciando il timone della regia a Tim Miller (Deadpool): roboante, eccessivo, adrenalinico, Terminator – Destino oscuro è come un gigantesco videogame nel quale lo spettatore è invitato a partecipare, lasciandosi travolgere dalle sempre più incredibili situazioni che si succedono in una girandola senza fine e mettendo da parte ogni pretesa di veridicità. Quest’ultimo punto è, infatti, necessario al fine di poter godere appieno di tutto ciò che il film ha da offrire, dagli effetti speciali – talvolta non così armonici – al ritorno in scena dei beniamini di un certo tipo di cinema, dall’azione intesa nel senso più vero e puro del termine alla forte componente femminile che caratterizza il progetto.
Progetto che a ben vedere si potrebbe definire come un #MeToo versione Terminator, dal momento che sono le donne a tenere in mano le redini della vicenda, a suon di botte, strategie e solidarietà. Non solo Sarah Connor quindi, ma anche e soprattutto le nuove leve, Grace e Dani (a cui prestano i volti Mackenzie Davis e Natalia Reyes), legate da un’affetto che trascende i confini del tempo e le lega in maniera indissolubile ed essenziale, cosicché l’una non esisterebbe senza l’altra. Donne forti, esemplari, non tanto per i muscoli che sfoggiano in più di un’occasione e che non hanno nulla da invidiare a chicchessia, quanto piuttosto per la loro strenua determinazione a non fallire, a garantire un futuro alle generazioni a venire, a sopravvivere o sacrificarsi a seconda dell’evenienza.
Se si pensa che siamo di fronte ad un’opera di intrattenimento, si rivela interessante e non banale la scelta di adattare la narrazione ai tempi che corrono, mescolando prontamente la finzione con questioni che rimandano alla contemporaneità – emblematica a tal proposito anche la battuta rivolta a Dani: “You are the future” (“Tu sei il futuro”.). Suggestivo infine lo stile registico, che esibisce dei richiami ad elementi quali lo sbarco in Normandia, gli sconfinamenti e le scene di guerriglia, inseguimenti/combattimenti degni del miglior Michael Bay ed addirittura una (auto)citazione a Terminator 2.