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Vivere, che rischio. La coraggiosa storia del pioniere della ricerca scientifica Cesare Maltoni
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5 anni agoon
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Redazione“Gli alti costi (umani ed economici) probabilmente rappresentano la ragione per cui, nel settore della cancerogenesi ambientale e sperimentale, le parole si sostituiscono a fatti, le opinioni a dati, e i congressi e i resoconti delle commissioni sommergono i buoni dati di laboratorio”.
Con queste parole del professor Cesare Maltoni si comprende come il suo impegno scientifico fosse strettamente collegato a quello politico. Pioniere nell’ambito della cancerogenesi ambientale e industriale, della prevenzione oncologica, ha intrapreso una strenua battaglia per la difesa della salute pubblica e dell’ambiente.
Cloruro di vinile, maldeide, benzene, formaldeide, amianto, MTBE, pesticidi, aspartame glifosato: un elenco di sostanze studiate dal professor Maltoni, sin dagli anni Sessanta, decreta l’inizio del docufilm di Mellara e Rossi. Sin dalle prime scene si comprende l’assoluta dedizione per la ricerca e l’inesauribile passione per la salute dell’uomo, nonché l’inevitabile necessità di controllare le interviste e le documentazioni sul suo lavoro.
Una voce narrante annuncia la morte avvenuta il 22 gennaio del 2001 e accompagna tutto il docufilm caratterizzando in modo vivace l’itinerario professionale e umano di questo grande ricercatore. Nato a Faenza nel 1930, laureatosi in Patologia nel febbraio del 1954, parte presto per Chicago per studiare insieme al ricercatore Albert Tannembaum, capo dipartimento di oncologia del Michael Reese Hospital. Nel 1961 rientra in Italia ed espone i concreti indizi sperimentali dai quali si evidenzia che il tumore esercita un controllo sulle cellule del tessuto connettivo “sano” che lo circonda, e che sono queste che consentono di ricevere dal corpo le sostanze nutrienti che gli permettono di crescere.
Il docufilm si sofferma sui straordinari obiettivi del professore, che riguardano lo screening europeo sui tumori al collo dell’utero, nonché sulla cancerogeneità dell’amianto e del cloruro di vinile, e sulla convinzione che la maggior parte dei tumori ha origini ambientali e che investire in prevenzione primaria vuol dire impedire all’uomo di venire a contatto con le sostanze nocive. Importante è la descrizione di una figura di enorme valore politico, in quanto fu il primo a convincere la più grande azienda chimica italiana, la Montedison, a testare sui ratti la cancerogenicità del CVM.
La narrazione sottolinea l’importanza di Luigi Orlandi, ex partigiano, senatore del PCI con lunga esperienza di carattere sociale, presidente degli “Ospedali di Bologna” nell’appoggio del lavoro di ricerca di tutto il team dell’istituto Ramazzini condotto dal prof. Maltoni, nonché della struttura ospedaliera nella campagna bolognese, il Castello di Bentivoglio, che ancora oggi ospita il centro di ricerca ora intitolato in suo onore.
L’angiosarcoma epatico era stato collegato da Maltoni al cloruro di vinile, cancerogeno multipotente che colpisce organi e tessuti anche a bassi dosaggi, un’incredibile scoperta da premio Nobel che fa arrivare delegazioni da tutto il mondo per verificare la correttezza del metodo scientifico.
La figura politica dello scienziato, presentata in questo avvincente lavoro, documenta le continue testimonianze a processo in tutto il mondo sull’effetto cancerogeno del cloruro di vinile – fino alla sentenza di Marghera del 1998 che vede tutti assolti! Non mancano documenti e interviste nei quali il professore dichiara che la grande industria, dopo lo choc del cloruro di vinile, continua a imporre le sue regole sulla ricerca per ridurre l’impatto degli studi indipendenti e per intraprendere ricerche autonome e di parte.
Un uomo pieno di energia seppur affetto da mal di vivere, solo e bisognoso di affetto, il professor Maltoni viene descritto il giorno successivo all’omicidio di Pier Paolo Pasolini, mentre fu visto aprire tutti i giornali che raccontavano l’accaduto sopra i grandi tavoli sui quali lavorava, fu visto fumare per la prima volta una Gauloises, leggere in silenzio, chiudere tutte le pagine dei giornali e tornare al lavoro.
Raccontava i milioni di persone povere costrette a lavorare l’amianto, esposte a una continua strage che occorreva bloccare; nonché il fatto che “l’industria si fosse spinta troppo oltre e che la crescita era ormai fuori controllo”. Fautore della necessità di creare organizzazioni che facessero comunicare il rapporto stretto che c’era tra la salute e la qualità dell’ambiente, arriva a sconvolgere con le sue ricerche il mondo dell’industria petrolchimica, come nel caso della Exxon Mobil, e per questo inizia a ricevere minacce.
Il docufilm evidenzia la speculazione economica che nasconde la falsa soluzione del problema del piombo nel benzene e la lotta di Maltoni contro la denigrazione scientifica dei risultati che punta a procrastinare il giudizio e colpire le capacità della ricerca scientifica.
“L’etica, di fronte alla tecnica, diventa pat-etica, perché come fa a impedire alla tecnica, che può, di non fare ciò che può? Nella storia non si è mai visto che un’impotenza sia in grado di arrestare una potenza. E l’etica, nell’età della tecnica, celebra tutta la sua impotenza”. (Umberto Galimberti)
La sorprendente biografia sullo scienziato dedica attenzione alla realizzazione, fortemente voluta dal professore, dell’Hospice per malati oncologici avanzati e in fase progressiva; un percorso intrapreso in merito alla medicina palliativa per i bisogni del malato terminale, iniziato con pochi soci, arrivato a 15mila e ora a quasi 30mila. Un grande studio sul vissuto del malato di cancro effettuato da Maltoni, che aveva fatto individuare le varie fasi che guidavano il percorso che andava dalla negazione/isolamento, alla rabbia, al patteggiamento, alla rassegnazione e alla fase della depressione.
Immagini di repertorio, testimonianze, articoli concentrano l’attenzione su uno dei più brillanti scienziati del ventesimo secolo; inarrestabile studioso sempre pronto ad approfondire e diffondere le proprie conoscenze e a denunciare con coraggio i danni arrecati alla salute pubblica.
Muore di infarto il 22 gennaio 2001 e lascia un’eredità alla quale questa regia restituisce un grande merito.
“L’umanità che tratta il mondo come un mondo da buttar via tratta anche se stessa come un’umanità da buttar via”.
(Gunther Anders)