La volta buona di Vincenzo Marra, film presente nella sezione Alice nella città della Festa del Cinema di Roma, è un tuffo nel neorealismo contemporaneo, dentro una storia tutta italiana a metà tra fiaba e ritratto sociale: uno schizzo sicuro ed efficace.
Bartolomeo (Massimo Ghini in un ruolo cucitogli addosso) è un procuratore di calcio caduto in disgrazia, vittima del gioco che lo ha letteralmente rovinato. Sempre aggrappato alla scoperta di quel talento calcistico capace di risollevarlo, si imbatte in Pablito, un bambino uruguaiano scovato in una baraccopoli di Montevideo dal suo ex socio Bruno (il melanconico Max Tortora), fuggito dall’Italia perché attanagliato dai debiti. Bartolomeo riesce a portarlo a Roma con l’aiuto del cinico presidente di una squadra (Francesco Montanari in una buona apparizione), amico che interviene in soccorso di Bartolomeo non senza il suo tornaconto.
Sembra veramente la volta buona per il nostro protagonista, che deve più di tutto ritrovare l’affetto della figlia affidata alla sua ex moglie, ma un grosso ostacolo si frappone al talento di Pablito. Sarà questo ostacolo e la decisione che Bartolomeo dovrà prendere il vero riscatto del nostro antieroe.
Vincenzo Marra non dimentica mai nel suo cinema la componente sociale, le marginalità delle esistenze, i luoghi che le contengono, rappresentati in questo caso dalla periferia romana, identificata efficacemente con lo sguardo verticale sulle case popolari a cui si contrappone quello orizzontale sulle baraccopoli uruguaiane. Un mondo lasciato a se stesso, anche nello sport (descritto in modo spietato nell’unica direzione di un tornaconto economico in entrambe le realtà), dove la salvezza pare paradossalmente soltanto provenire dallo scambio-comunicazione di due povertà, dalla salvaguardia di valori capaci di preservare l’umanità e la dignità, quando non risulta necessario (nella realtà purtroppo avviene) calpestarle.
La narrazione è ‘semplice’, poco sviluppata ed approfondita nelle dinamiche a cui assistiamo, nella soluzione che ci consegna. Volutamente, mi viene da scrivere. Perché non serve a questa storia. Il fulcro essenziale de La volta buona rimane preservato dentro le individualità di Bartolomeo e del serio Pablito (il piccolo ed efficace Ramiro Garcia), già adulto, conscio del suo destino e della spensieratezza che non può permettersi di vivere.
Dentro gli errori, le debolezze, il caso che ti lancia nella esistenza dove vuole e nelle condizioni che vuole. Senza i mezzi per cavartela. Eppure, nello scontro tra esseri umani, dentro la disperazione, c’è sempre una luce che può guidarci e che può salvarci.