Waves di Trey Edward Shults è un film che riesce a rimanerti addosso nonostante tutto. Uno spaccato esistenziale che si dipana in più direzioni, radicandosi dentro una fonte apparentemente rigogliosa.
Entriamo subito in Florida, nella vita agiata e tutta pianificata verso un futuro ambizioso di Tyler (l’efficace Kelvin Harrison Jr.), promessa del wrestling (quello vero), fidanzato della sua dea Leila, pronto ad entrare nel college con una borsa di studio. La macchina da presa pompa come la musica che rimbomba (troppo, volutamente?) giorni colmi di giovinezza, gioia, amore, eccellenza, soldi. Nelle pieghe della vita di Tyler domina la figura del pater familias Ronald (Sterling K. Brown), la sua ossessione, che costantemente pressa il figlio nella fatica e nella dedizione, nel senso di responsabilità, ricordandogli che tutto il benessere di cui usufruisce per loro neri è frutto di una fatica 10 volte più dura.
Tyler lo subisce, subisce tutte le aspettative che la famiglia ha su di lui fino ad essere travolto da un’‘onda’ troppo alta e ingestibile per un’anima fragile come la sua. A questo punto dentro Waves cambia qualcosa, comincia il vero film. Dopo una premessa di quasi un’ora. Inaspettatamente e sorprendentemente entra in scena Emily (una straordinaria Taylor Russell), la sorella minore di Tyler. La ragazza, fuori dalle mire di rivalsa del padre sulla vita e fuori dall’occhio della macchina da presa, se non di riflesso, appena investita da un’estensione fugace, è messa a fuoco nel suo percorso di rinascita e consapevolezza, dopo la tragedia che ha investito tutta la sua famiglia.
Trey Edward Shults lo racconta davvero con grazia e profondità, con una delicatezza che contrasta pesantemente con la voracità visiva, musicale (Atticus Ross e Trent Reznor) con cui ha seguito Tayler e tutto il mondo che si dipanava attorno a lui. La evoluzione e la crescita di Emily, nell’onda abbattutasi sull’intera famiglia che si ritira, raccoglie e ‘salva con sé’ ciò che di sfatto irrimediabilmente resta, si allarga ad uno sguardo sulla nostra condizione comune di esseri umani sfalzati dall’esistenza, sottoposti a prove atroci, più o meno destabilizzanti, a scie di gioia e sofferenza, a quanto sia difficile resistere, controllare tutto questo, a quanta potenza anche nella guarigione, nel lenire il dolore che resta, può generare l’amore, il perdono.
Anche se Waves è un film completamente americano nella forma e nella sostanza, la sottile retorica (anche visiva) che lo accompagna sin dai primi minuti e che non lo lascia mai riesce a convincere, a stemperarsi dentro porzioni di bellezza (che emergono dal barocco di immagini e musicalità a volte ‘soffocante’), di uno spirituale che illumina di densità i piccoli momenti, le rivelazioni, i confronti, le sconfitte, la gioia, che sono le tappe di ognuno di noi. Le tappe della nostra vita.