In un’edizione della Festa del Cinema di Roma che ha vissuto di luci e ombre l’anteprima del nuovo film di Martin Scorse, The Irishman, si è imposta quale evento dall’impatto straordinario, artistico ma anche mediatico. Praticamente un faro nella notte. Mentre sui social impazzano già da un po’, ormai fuori controllo, i commenti talvolta bislacchi degli utenti riguardo alle dichiarazioni di Scorsese e di altri grandi Maestri del cinema sulle produzioni Marvel, le proiezioni dell’atteso lungometraggio sono state letteralmente prese d’assalto da pubblico, stampa e altri addetti ai lavori; complice poi il fatto, anch’esso oggetto di polemiche, che il film targato Netflix resterà nelle sale italiane solo pochi giorni. E a tutto ciò si può serenamente aggiungere l’ulteriore momento di scompiglio, sul fronte organizzativo, dovuto alla presenza in una delle proiezioni ufficiali programmate all’Auditorium dello stesso Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
Analizzata brevemente la cornice dell’evento, si può ora passare a quanto abbiamo potuto ammirare sul grande schermo: ossia una summa della poetica scorsesiana che occhieggia indubbiamente alla precedente filmografia dell’autore, vedi in particolare Quei bravi ragazzi (1990) e Casinò (1990), riproponendone gli intensi passaggi da crime story e buddy movie quale sulfureo, denso, ironico contraltare delle più radicate inquietudini che serpeggiano nella società americana. Ispirato ad I Heard You Paint Houses, pubblicazione di Charles Brandt incentrata sulla vita del malavitoso Frank Sheeran e suggerita a Scorsese dallo stesso Robert De Niro, per un sontuoso ritorno alla loro storica collaborazione sul set, The Irishman ripropone con ritmo serrato e una meticolosa attenzione alla messa in scena, alle ricostruzioni ambientali, la criminale ascesa di Frank Sheeran a.k.a. Robert De Niro in un’America del dopoguerra di cui sono ben visibili, sullo schermo, alcuni momenti emblematici.
Dalla controversa parabola della famiglia Kennedy alla misteriosa uscita di scena del leader sindacale Jimmy Hoffa (memorabile qui l’interpretazione di Al Pacino), implicato in molte situazioni ambigue ed eliminato senza troppi complimenti dalla malavita. Ovviamente a Scorsese il dato cronachistico interessa fino a un certo punto, l’elegante e sinuoso The Irishmanè semmai l’ennesimo, corale affresco sulla perdita dell’innocenza, sul complesso e problematico rapporto del singolo con il sistema, sulla difficile forse impossibile pretesa di adempiere a un ruolo sociale (pur collocato in un sottobosco oscuro) preservando l’integrità di determinati rapporti amicali e famigliari.
Anche per questo la raffinatezza delle riprese iniziali, spesso organizzate in articolati piani sequenza, lascia gradualmente spazio a confronti verbali tra i protagonisti sempre più tesi, incalzanti, con la tensione che spesso si taglia con un coltello (o si interrompe all’improvviso, a colpi di arma da fuoco). Fondamentale è qui la compattezza di un poderoso cast al maschile che somma volti spigolosi alla carrellata di grandi nomi cari al cinema di Scorsese, dal già menzionato De Niro a Joe Pesci, da Al Pacino a Harvey Keitel. Senza dimenticare però le presenze femminili, forse meno appariscenti, ma utili nel ruolo di “donne di mafia” o di testimoni passive degli eventi a definire con maggior esattezza la cornice antropologica del lungometraggio.