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Doom Patrol: su Netflix, l’incubo dadaista della DC Comics

Doom Patrol è quindi lo spin-off della serie Titans, entrambe trasmesse sul servizio streaming on demand DC Universe, che in Italia sono arrivate grazie a Netflix

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Tecnicamente, spin-off è un termine mutuato dal linguaggio fumettistico ma che è stato prontamente assimilato dai mezzi di comunicazione di massa come i serial, i film o i videogiochi; indica un’opera derivata, sviluppata da un’altra principale e che ne mantiene l’ambientazione originaria, ma racconta storie parallele puntando i riflettori su personaggi diversi, spesso secondari nell’opera di riferimento.

Doom Patrol è quindi lo spin-off della serie Titans, entrambe trasmesse sul servizio streaming on demand DC Universe, che in Italia sono arrivate grazie a Netflix: nello specifico, quello della Doom Patrol è un caso isolato e unico nel panorama fumettistico mainstream. Gruppo di supereroi creato nel 1963 da Bob Haney e Arnold Drake, esordiscono su My Greatest Adventure – DC Comics – per poi spostarsi prima su Showcase e poi su una collana autonoma, ponendosi dichiaratamente e subito come un’idea collaterale e derivata da quella degli X-Men creati da Stan Lee (della concorrente Marvel): un gruppo di emarginati non tanto per i loro poteri quanto per il loro aspetto, mostruoso e aberrante. Una serie senza particolare appeal se non per l’idea di base, che però nel 1987 viene ripresa, destrutturata e ricostruita dal geniale scrittore scozzese Grant Morrison che ne modifica di poco la composizione del gruppo rendendo però la narrazione una sorta di incubo dadaista, basato sull’idea che la realtà non è poi cosi “reale” utilizzando mezzo come la filosofia, la matematica frattale, la poesia e l’arte.

La serie DC Original decide furbescamente di pescare un po’ di qua e un po’ di là: idee dalla “prima vita” della Doom Patrol si uniscono a suggestioni del periodo Morrison (ad oggi, a fumetti, quello migliore e più conosciuto): Cliff Steele è un pilota di auto da corsa che a seguito di un brutto incidente vede il proprio cervello trapiantato nel corpo di un robot; Larry Trainor, ex pilota d’aerei, nasconde la sua omosessualità dietro un matrimonio di facciata, finchè un’entità lo distrae e fa schiantare a terra un mezzo da lui guidato, si lega a lui e lo costringe a celare il suo corpo ustionato sotto metri di garze; Rita è un’attrice della vecchia Hollywood che scopre di tramutarsi in una massa informe quando perde la concentrazione; infine, Jane ha 64 diverse personalità ognuna con un superpotere specifico. Questo insolito gruppo di freak viene raggruppato da Chief, che dà loro ospitalità finchè una minaccia dal suo passato non li travolgerà.

Il tema non è proprio originale: personaggi con superpoteri loro malgrado, che non vogliono le loro abilità né hanno desiderio di servirsene per aiutare il mondo, Doom Patrol mette però a frutto il meglio del revisionismo supereroico che viene da lontano (esattamente, dal Wathcmen di Alan Moore) sposando un’ironia feroce e sarcastica che non risparmia niente e nessuno, arrivando a sfondare la quarta parete esattamente come Morrison faceva nei suoi volumi a fumetti. La serie allora vince perché gioca con le aspettative del pubblico e le sovverte, con un tono scanzonato che nei momenti più drammatici riesce a dare quella levità necessaria per contraddistinguere l’opera da altri serial teoreticamente vicini, come i The Boys creati da Warren Ellis, protagonisti dell’ottimo prodotto Amazon Prime: perché se quello metteva in campo supereroi brutti sporchi e cattivi per mostrare che il potere assoluto corrompe in modo assoluto, questo spin-off dei Titans scherza continuamente sull’egoismo del personaggio borderline, tratteggiato a tutto tondo quando viene restituito come un pariah ossessionato dai suoi errori e dalla nostalgia del suo passato. In questa maniera, Doom Patrol riesce a non somigliare a niente se non a sé stessa, investendo i generi (dalla comedy al drama) mentre investe e travolge la struttura narrativa della storia che si riavvolge su sé stessa tramite il racconto in prima persona, dispiegato con diversi flashback. Mai fluida e lineare, sa però avere una costruzione drammatica solidissima e avvinghiare lo spettatore nelle spire di un racconto costantemente, incessantemente alla ricerca di risposte che per fortuna non darà mai, neanche alla fine.

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