Due uomini – due amici – escono di galera insieme, e insieme, in maniera solidale, affrontano il mondo esterno senza fermarsi troppo a riflettere. I protagonisti: John Turturro (Jesus), Bobby Cannavale (Petey) e Audrey Tautou (Marie). Completano il cast stellare con piccoli apparizioni: Susan Sarandon, Sonia Braga, Jon Hamm e Christopher Walken. Da non dimenticare, ovviamente, che Jesus Quintana era il campione di bowling già interpretato da Turturro ne Il Grande Lebowski dei fratelli Coen.
Sin dalle prime battute le premesse: Jesus e Petey rubano un’auto e trovano una ragazza, Marie. Il condividere del terzetto è condito da avventure e peripezie e dopo poco capiscono di stare bene insieme. Tre figure simili, un po’sbandate ma, in fondo e incredibilmente, tutti con dei sani principi. Ciascuno alla ricerca di un semplice vivere quotidiano e che, similmente, si attraggono in un sodalizio perenne. Questa ‘non riflessione’ endemica sul vivere e sull’essere, è il fil rouge del film. Qui non si fa filosofia. E ciononostante, alla fine ci accorgiamo che si tratta di un racconto che tocca nel profondo, proprio per la sua leggerezza dell’essere che viene messa in atto e in gioco ogni momento e per la scuola di libertà che ci lascia il suo ineffabile profumo.
Un film dissacrante e ironico che mette in gioco tanti stereotipi standardizzati di molte storie viste sul grande schermo. Non è facile raccontare un’amicizia tra uomini e nemmeno una sorta di relazione basata su un menage a trois, che, come dice lo stesso regista/attore Turturro, sia quasi un rapporto tra fratelli e privo di alcuna torbida morbosità. Nulla di osceno, dunque, in questa ironica commedia, con dei risvolti anche drammatici, che il film mette in atto a fasi alterne creando bei momenti di suspence. L’intelligente regia e prestazione di John Turturro è assolutamente convincente. Come pure la fotografia scarna ed eccellente. Da encomio la disponibilità del regista a Roma, durante la presentazione alla Casa del Cinema, il 15 ottobre 2019, dove per molto tempo ha risposto, con estrema pazienza e cortesia, alle domande dei giornalisti, cosa nient’affatto scontata negli ultimi tempi.
Nonostante le tematiche che sottendono molto spesso il sesso e i furti, si tratta di un film sostanzialmente gentile. Le relazioni tra i personaggi positivi sono sempre rispettose e amicali, e non c’è mai sopraffazione o violenza, quelli negativi, che meritano ciò che gli accade, escono presto di scena. Un linguaggio chiaro che ha, pertanto, una sua rigorosa morale. Un film molto francese nello stile e decisamente anche un film al femminile, nel quale le figure delle donne sono il fulcro della storia. Non a caso, inoltre, molti collaboratori, anche dietro le quinte, sono donne, come la montatrice Simona Paggi, che è anche italiana, o la creatrice delle musiche Emilie Simon. Anche la distributrice italiana, responsabile della Europictures, è una donna, Lucy De Crescenzo, ma non è certo una major e – come sottolineava nella presentazione – dovrà vedersela con le lobby di potere sul mercato cinematografico per far affermare al meglio questa opera che ci si augura non rimanga “di nicchia”. La libertà è la chiave di volta di questo road movie, che non è assolutamente un prodotto filmico standard.
Un film che è dunque sicuramente valido e godibile anche da un grande pubblico, anche se all’inizio non è chiarissima la definizione di una chiave di lettura. Ma è proprio questo il suo fascino: non si sa bene dove Turturro voglia andare a parare. Anche il luogo non è definito, non si sa dove si svolge la vicenda. Non si nominano paesi o strade. Si vedono macchine targate New York, ma anche vetture con stampigliata GB, quindi chiaramente inglesi. Al regista non importa il luogo, che resta uno sfondo, ma solo i personaggi.
Ancora da sottolineare la bella relazione tra i protagonisti, amici anche nella vita. In questo legame al maschile spicca il contrappunto della bravissima Audrey Tautou con i due uomini, amici/amanti/fratelli, che è sempre gioiosamente ludico e pudicamente virginale. Lei, l’ancor giovanile Marie, non ha mai goduto nel far l’amore e questo limite, per una ragazza che ha avuto più di trecento uomini, come lei stessa dichiara, è sicuramente un cruccio. Ma la levità con cui è affrontato anche questo tema rende gradevole ogni sequenza. Anche il montaggio ha in qualche modo contribuito e dare eleganza e scorrevolezza a delle tematiche difficili. È un film dove la frase più ripetuta, e anche in occasioni fuori dalle righe, è “… Ricordati che lei è una signora…”, con la quale Jesus, rivela, nonostante la sua sottesa provenienza dal mondo della criminalità e la sua permanenza in carcere, un profondo rispetto del genere femminile. Prima tra tutte per l’ancora bellissima Sonia Braga, nelle vesti della madre del protagonista, che peraltro svolge il mestiere più antico del mondo. I temi che potrebbero sembrare scabrosi, sono condotti con grazia. I momenti di drammaticità vengono sapientemente contrappuntati da uno sguardo disincantato e ironico della vita.
Un incidente stradale nel quale vengono coinvolti i tre, e che ha il sapore di un castigo divino, per le malefatte perpetrate dai due uomini, e che in qualche modo parafrasa la scena finale di Thelma e Louise, si risolve invece anch’esso in maniera positiva. I tre non meritano di morire. Anche la grande e magnifica Susan Sarandon, classe 1946, il personaggio più drammatico del film, che non riesce ad accettare e vivere una nuova vita, esce di scena con l’eleganza che le è abituale.
Anche l’epilogo del film ha un risvolto poetico. La camera, in un fermo immagine, si blocca sul terzetto e parafrasa film d’altri tempi. Come una novella immagine di Tempi Moderni di Chaplin, tutti e tre i protagonisti sono insieme per la strada, verso un possibile futuro. E forse, anche in questo caso, insieme verso l’infinito. Il film è presentato in anteprima mondiale come pre-apertura della 14/a Festa del Cinema di Roma. Jesus Rolls – Quintana è tornato, ispirato a I santissimi di Bertrand Blier del 1974, tratto dal romanzo dello stesso regista Les Valseuses.