Tir, il film di Alberto Fasulo vincitore del Festival di Roma del 2013
Vincitore del Marc'Aurelio d'Oro al Festival internazionale di Roma, Tir di Alberto Fasulo mette in scena un luogo di passaggio, un "non luogo" dell'anima. Tra finzione e documentario, il film disegna il ritratto di un traghettatore condannato a una vita in cui ogni approdo è l’inizio di un nuovo viaggio senza meta
Film di Alberto Fasulo del 2013, vincitore del Marc’Aurelio d’Oro per il miglior film al Festival internazionale del film di Roma del 2013. Dopo Rumore Bianco (documentario sul fiume Tagliamento), il regista in Tir ritrae non più un luogo stanziale ma un luogo di passaggio, un “non luogo” dell’anima. A proposito del film, Fasulo ha dichiarato: «Ancor prima che un film su un camionista, Tir è un film su un paradosso: quello di un lavoro che ti porta a vivere lontano dalle persone care per cui, in fondo, stai lavorando. Ma più che fare un racconto sociologico mi interessava entrare sotto la pelle del mio personaggio e riprenderlo in un momento di crisi personale, in cui si vedesse obbligato a compiere una scelta non solo pratica, ma anche etica ed esistenziale. Branko, il protagonista, è ovviamente un Ulisse, un uomo che ritiene che il dovere sia più importante del piacere». Con Branko Završan, Lucka Pockja, Marijan Šestak.
Sinossi Branko, un ex professore di Rijeka, da qualche mese è diventato camionista per un’azienda italiana. La sua è una scelta più che comprensibile dal momento che guadagna tre volte tanto rispetto al suo vecchio stipendio d’insegnante. Eppure tutto ha un prezzo, anche se non sempre quantificabile in denaro: il suo infatti è uno dei lavori più alienanti, assurdi e schiavizzanti, che esistano.
La recensione di Taxi Drivers (Vittorio Zenardi)
Tir, del documentarista Alberto Fasulo, narra la storia di Branko (Branko Završan), ex professore della croata Rijeka, diventato camionista per un’azienda italiana con la prospettiva di guadagnare molto di più. Un camionista dell’est che trascorre 25 giorni al mese percorrendo il “Corridoio 5”, quell’asse portante che nei piani dell’Unione Europea unirà Lisbona con Kiev, lungo il quale si spostano i flussi di manodopera che lasciano l’oriente per l’occidente, e quelli di capitali che da ovest migrano a est. L’azione si volge principalmente dentro la cabina del camion con l’attore, il regista e due fonici pronti a cogliere, nell’immediatezza, il suono vero della strada e il battito di tutte le sue umanità. Viene mostrato il lavoro scandito dagli orari obbligati di riposo (un’ora ogni quattro ore e mezzo), il tutto controllato da una sorta di scatola nera che, per guadagnare di più, si cerca di aggirare in tutti i modi. Završan per calarsi nella parte ha accettato la sfida di diventare ed essere camionista per sei mesi, conseguendo la patente di guida prevista dal codice della strada. Anche il suo compagno di viaggio Maki (Marijan Šestak) è di professione camionista.
Tir, pur avendo un evidente taglio documentaristico, ha un’architettura narrativa da opera cinematografica, con inquadrature studiate (notevoli quelle costruite con il gioco di specchi riflessi) e dialoghi elaborati. Da segnalare un’ottima fotografia curata dallo stesso regista e la volontà di portare alla luce le problematiche di un ambiente lavorativo ai più sconosciuto.
L’opera, mostrandoci la crisi e l’alienazione che affronta il protagonista, evidenzia un paradosso: quello di un lavoro che porta a vivere lontano dalle persone care per cui, in fondo, si sta lavorando. Puntando la luce sulla vita del protagonista, Fasulo mostra le fatiche e le contraddizioni di un mestiere duro, in balia della crisi imperante, riuscendo a suscitare una certa solidarietà ed empatia per chi all’interno di quei bolidi passa l’esistenza e che troppo spesso viene giudicato frettolosamente, senza considerare la sofferenza provata.