L’Académie de France à Rome, con sede a Villa Medici, ha recentemente reso omaggio (13-18 gennaio 2009), con una rara retrospettiva integrale, ad uno dei più importanti registi francesi della generazione successiva alla celebre ondata rivoluzionaria della Nouvelle Vague.
Trattasi di Jean Eustache, autore fuor di regola e resistente agli schemi convenzionali, capace d’un cinema indomito (così definito dagli stessi autori della rassegna), al cui cospetto si rigenera appassionatamente il discorso sul dispositivo filmico e sulle sue vie “altre” possibili, in tempi in cui risulta quasi utopica la scelta di dissentire dal pericoloso adeguarsi alle censorie regole di mercato.
Numero Zero appare all’interno della sua produzione, tra cui è impossibile non ricordare il capolavoro fuori misura La maman et la putain, come una delle sue prove che virano maggiormente verso un’estraneità alle leggi del narrare per immagini con cui siamo abituati a confrontarci, verso un inconsueto grado di radicalità che spinge ad interrogarci proficuamente sulla natura stessa del cinema come cantastorie audiovisivo.
Nei suoi 110 minuti di girato non montato e presentato così allo stato grezzo di materiale, tale opera consiste sostanzialmente in un dialogo tra Eustache stesso e sua nonna. Quel che potrebbe sembrare la cosa più lontana dall’essenza del dispositivo cinematografico, definito come grande narratore per immagini, diventa invece, operata una riduzione degli elementi e dei materiali utilizzati, lasciandoci solo un corpo ed una voce, una esaltazione del carattere epifanico del cinema stesso.
Si evade dal film come confezione standard per metterci di fronte solo un corpo, spesso solo un volto, intento a tracciare a parole interminabili percorsi passati, a far vibrare una voce indomabile, a far riemergere con virulenza quel che era sopito in memoria.
Eustache non taglia niente, volge le spalle alla camera, si fa vedere a lavoro, documenta quello che è già un’ ipotesi di documentario e che così vede moltiplicare i suoi connotati di reperto temporale e traccia di lavorazione.
Nella dichiarata povertà di mezzi e di materiali, Numero Zero rimanda ad una riflessione più approfondita su cosa sia raccontare. Ci fa percepire il cinema come novello focolare, intorno al quale ci si riunisce per sentirsi narrare delle storie, ed insieme, ci spinge ancora oltre, ad ammirare – mise en abime inconscia – come, nel suo farsi, il film ci racconti qualcosa attraverso le immagini di qualcuno che a sua volta racconta attraverso la parola.
Salvatore Insana