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6° Film Festival Diritti Umani Lugano: intervista al direttore Antonio Prata
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5 anni agoon
Da dove nasce l’idea di fare un festival sui diritti umani e perché proprio a Lugano?
Lugano è stato il luogo di nascita di persone che da sempre si occupano di giustizia, di diversità e dei bisogni e delle esigenze altrui. Parlo ad esempio di Paolo Bernasconi, di Carla Del Ponte, così come di altri che sei anni fa hanno avuto l’illuminazione di pensare a un festival sui diritti umani. Se persone con la loro esperienza hanno sentito l’esigenza di farlo vuol dire che probabilmente c’è bisogno di una manifestazione del genere anche da noi. Poi, devo dire che il fatto che ce ne siano già altri due, uno a Ginevra e l’altro a Milano, ci ha spinto a unire le forze e a collaborare insieme e, quindi, di mettere anche Lugano al centro di questo progetto per dare più risalto a un paese come la Svizzera che comunque ha sempre tutelato i diritti umani. Talvolta, nell’ambito dell’unione il Ticino è una regione meno considerata di altre; siamo la parte piccola della Svizzera e questo fa sì che non veniamo coinvolti in tutto. Quindi, queste persone hanno pensato che comunque una città come Lugano, crocevia di genti e culture e quindi di idee, dovesse avere un festival come questo. Credo sia stato questo l’input che ha spinto prima alla creazione di una fondazione per i diritti umani e poi di un festival.
Se la vostra è innanzitutto una manifestazione cinematografica ciò non toglie che il programma è caratterizzato da una forma di comunicazione trasversale che non riguarda solo le immagini. Altrettanto importanti nell’ambito del festival sono i forum, i concerti e le mostre fotografiche.
Si, a differenza degli altri che ho citato prima, al nostro festival piace essere consigliato dal cinema perché raccontando incessantemente la realtà contemporanea i film finiscono per non tradire mai. Anche se ne guardi uno che si rivolge al passato è incredibile come questo riesca comunque a toccare qualcosa che si sta vivendo in quel momento. Per questo ci siamo detti di lasciare che fosse il cinema a suggerirci di cosa parlare e dunque la prima scelta è stata di allestire un festival cinematografico, andando a pescare titoli nei festival di ogni parte del mondo. Poi, invece di partire dal tema per creare intorno a questo un cartellone abbiamo fatto l’esatto contrario, facendo dei film l’inizio di un percorso articolato da altre occasioni di confronto e di scambio. Da cui l’importanza dei dibattiti, necessari a coinvolgere il pubblico più giovane che per noi è quello che frequenta maggiormente la nostra manifestazione (lo scorso anno su seimila spettatori più della metà erano studenti). Quando ci rivolgiamo a loro lo facciamo attraverso approfondimenti che avvengono subito dopo le proiezioni, in modo che essi possano esprimere a caldo le emozioni provate durante la visione. Dunque creiamo molti dibattiti, invitando non solo gli autori ma anche i protagonisti per ascoltare in diretta le loro esperienze.
Quando uno pensa ai diritti umani è abituato a collegare il tema a una precisa e limitata categoria di fatti e di persone. Leggendo i nomi dei vostri ospiti, invece, si capisce che a questo argomento afferiscono le situazioni più disparate. La presenza di film incentrati sul problema climatico, così come quello su Federica De Angelis, la giornalista di Repubblica costretta a vivere sotto scorta, allargano il significato di ciò che è relativo ai diritti umani.
Quando mi hanno chiesto di lavorare a questo festival, l’intento era quello di dare un’opportunità innanzitutto a me, poi ai miei collaboratori e anche al pubblico, di riflettere in maniera diversa sui diritti umani. I film e gli ospiti ci danno la possibilità di farci capire che ciò che è scritto su quella carta non esaurisce la questione che invece è molto più ampia. Abbiamo lungometraggi che affrontano determinate tematiche in maniera diretta e altri che fanno un giro un po’ più largo, cercando di capire che cos’è la dignità umana in tutte le sue sfaccettature. Ce ne sono alcuni, come Beautiful Things, che arrivano a farci intendere come taluni oggetti entrino in relazione con l’inquinamento. Anche qui ci si potrebbe chiedere: dove stanno i diritti umani? Se vado a cercare su quella carta non c’è qualcosa che si riferisca in maniera esplicita al lungometraggio di Giorgio Ferrero e Federico Biasin però quando vedi il film non puoi non farti un paio di domande su te stesso, sul tuo atteggiamento in questo pianeta e su come ti stai comportando per farlo sopravvivere. A me è così che piace guardare ai diritti umani. Anche Acquarela di Victor Kossakovsky lo fa in questa maniera. Durante la visione ci si trova davanti a novanta minuti di scroscio di acqua nelle sue forme più svariate, però il rapporto tra la natura e l’umano lo si sente anche lì. Sembra quasi che il regista voglia fare parlare l’acqua per dirci dove abbiamo sbagliato.
Scorrendo il cartellone si nota che a essere al centro del programma – e lo dico soprattutto in rapporto all’interesse del festival verso i giovani – sono le idee, da sempre viatico del vero cambiamento.
Ma certo, abbiamo bisogno delle idee e non mi vergogno a dirlo. La tua è una bellissima affermazione ma non perché la fai a proposito di noi, ma poiché bisogna avere l’umiltà di ammettere che questo mondo ne ha estrema necessità. I politici prima di altri dovrebbero avere il coraggio di andare davanti alla gente chiedendogli di portare qualche idea. Per noi i film sono un vero e proprio pilastro perché attraverso di loro scopriamo delle cose straordinarie. Non vogliamo fare gli esperti o gli intellettuali ma, come hai detto tu, trovare delle idee per farci aiutare da esse.
D’altronde Falcone a proposito della mafia diceva che per cambiare la mentalità bisogna partire dalle idee.
È vero, questa è una cosa sempre attuale e mi fa piacere che tu la citi nell’ambito di questa conversazione.
Venendo agli eventi del festival, vale la pena dire qualcosa sul premio Diritti umani assegnato a Hassan Fazili. La domanda più scontata è il perché di questa scelta?
Innanzitutto si tratta di un premio all’autore. Ogni hanno le distribuzioni ci chiedono perché non facciamo una sezione competitiva con un premio finale. Altri Festival fanno così, mentre noi dobbiamo ancora capire che senso ha mettere in competizione dei film. Ogni opera ha un valore enorme, quindi il premio preferiamo darlo all’autore per la sua intera filmografia, oppure per un particolare lavoro che assume un valore simbolico e che di fronte all’umanità rappresenta principi importanti a cui noi crediamo. Ci è sembrato che Midnight Traveller e la storia di Hassan Fazili quest’anno fossero da premiare innanzitutto perché parliamo di un film proiettato in mezzo mondo, poi per la particolarità della sua realizzazione. Hassan con una piccola troupe ha deciso di fare un film sulla pace, coinvolgendo importanti esponenti talebani, stiamo parlando del 2013, 2014. Purtroppo, dopo l’uscita del film in televisione uno dei maggiori esponenti talebani che diceva basta alla guerra è stato ucciso, e troupe e regista condannati a morte e dunque costretti a fuggire dall’Afghanistan. I tre anni di pellegrinaggio verso l’Europa sono stati filmati da Fazili e dalla moglie – anche lei regista – con l’unico mezzo a disposizione e quindi con il cellulare. Non è stato facile avere il film perché si tratta di un lavoro premiato in festival molto più importanti del nostro. Tra l’altro, sarà la prima volta che il regista riuscirà a ritirare il premio perché in precedenza il suo status di rifugiato non gli aveva permesso di muoversi liberamente da un paese all’altro.