Con Non si può morire ballando, Andrea Castoldi mette in scena con pudore malattia e affetti
Andrea Castoldi, al suo terzo lungometraggio di cinema indipendente, con Non si può morire ballando descrive una relazione fraterna colta in un momento particolarmente doloroso. Ottima interpretazione di Mauro Negri e Salvatore Palombi, in una sintonia perfetta
Andrea Castoldi, al suo terzo lungometraggio di cinema indipendente, con Non si può morire ballando descrive una relazione fraterna colta in un momento particolarmente doloroso: la malattia senza appello di Gianluca (Salvatore Palombi), insieme alla volontà di scongiurarla da parte di Massimiliano (Mauro Negri). In una dimensione privata trattata con pudore, sia quando li vediamo soli, sia quando Massimiliano coinvolge altre persone nel suo progetto di cura per non lasciare andare il fratello, per non affrontare l’insostenibile distacco. Strana la malattia che Andrea Castoldi ha inventato per Gianluca: sindrome da cellule dormienti, una patologia rara, per cui le cellule del corpo perdono energia fino a provocare la morte.
Al regista piacciono le soluzioni bizzarre, originate da circostanze più che reali. Nel suo Ti si legge in faccia del 2014, i pretesti narrativi erano crisi economica e disoccupazione, per le quali Francesco, giovane siciliano disoccupato, doveva valutare la proposta di guadagnare trentamila euro, andandosene in giro con il logo di una compagnia di assicurazioni tatuato sulla fronte. In Vista mare, invece, del 2017, gli Italiani sono messi ancora peggio, tanto da voler emigrare verso la vicina e più prospera Albania, in un viaggio della speranza all’incontrario, per ricominciare una vita nuova e più dignitosa. Provocazioni. Sfide grottesche, eccentriche.
Ora, senza rinunciare alla sua stravaganza, Castoldi mette da parte il paradosso estremo e costruisce una vicenda a metà tra la commedia e il dramma, in cui Massimiliano, che fa il commercialista e sembra una persona razionale, si affida a teorie psicologiche parecchio alternative. E va alla ricerca del libro che un medico anziano ha scritto insieme al primario dell’ospedale, il quale invece rinnega la sua creatura di carta, le ricerche che l’hanno partorita, e persino il collega. Quest’ultimo, nel ruolo del saggio (di un racconto che è un po’ anche una favola d’amore), gli regala l’unica copia rimasta, insieme a una dichiarazione suggestiva: “Pensare che un libro possa regalarti la vita è stupendo, basta non aprirlo mai”.
Massimiliano rompe l’incantesimo: lo apre, lo legge, lo propone a Gianluca, riluttante come non mai. La proposta è quella di stilare un elenco di almeno otto situazioni che gli hanno fatto vibrare il cuore, recuperarne il ricordo, riviverne le emozioni, per far sì che le cellule assopite si risveglino. Massimiliano assolda addirittura una compagnia di attori per inscenare le otto esperienze di vita in una sorta di psicodramma, pur di coinvolgere emotivamente il fratello. La sua ostinazione è l’aspetto più avvincente del film; non a caso Andrea Castoldi ha affermato di aver vissuto lui stesso un’esperienza ospedaliera nel ruolo di Massimiliano. Forse per questo i luoghi non sono facilmente individuabili (siamo in Lombardia, ma il regista ce lo svela più tardi, in sala), come a dire che simili drammi possono capitare a qualunque latitudine. Perché, come dice il sottotitolo del film, e come mostra la locandina, La vita non è altro che una distesa di fiori profumati con una lavatrice rotta in mezzo.
Bravissimi Negri e Palombi nei loro giochi di sguardi, silenzi e commozioni trattenute. Nel rendere l’imbarazzo assurdo tra chi è sano e chi non lo è più. E gli occhi disperati dell’infermità, a tradire la rassegnazione delle parole. Chissà se per qualche momento attori o regista hanno pensato a quel bellissimo libro di Vasco Pratolini, che è Cronaca familiare, in cui l’autore parla della morte del fratello Dante. Al contrario di Gianluca, che dice di voler star solo e non chiede mai, Dante si disperava, piangeva, esprimeva i suoi desideri, come quello della marmellata di arance che Vasco cerca in tutta la città, di negozio in negozio, di rifiuto in rifiuto. La trova, infine, ma troppo tardi: “Quella mattina del nostro congedo, mi trovai col viso contro una vetrina di via Salaria ov’erano esposti, l’uno sull’altro a piramide, barattoli di conserva dolce. Alla sommità della pila stavano i vasetti di marmellata d’arancia. Li guardavo e il frutto stampato sull’etichetta mi sembrava una faccia che ammiccasse”.
Nel film di Andrea Castoldi la vita di fuori sembra avere poco valore; si vede Massimiliano, sì, in famiglia, ma tutto è funzionale al tempo passato con Gianluca. Per questo, quando il film sembra finito e il regista vuole concludere anche le situazioni di altri personaggi, il nostro interesse è diminuito, perché noi vogliamo sapere più di tutto se Gianluca vive o muore e se riesce a vincere, poco o tanto, il suo intorpidimento emozionale. Soprattutto se la voglia di vivere prevarrà sulla sua paura di morire.
Anno: 2019
Durata: 85'
Distribuzione: Distribuzione indipendente
Genere: Commedia, Drammatico
Nazionalita: Italia
Regia: Andrea Castoldi
Data di uscita: 03-October-2019
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