Cosa ti ha convinto ad accettare questo ruolo e quale pensi sia la situazione femminile nelle Filippine?
Innanzitutto, è stato il messaggio che la mia interpretazione avrebbe avuto nei riguardi delle donne del mio paese. Quello che so è che la violenza di massa nelle Filippine è orribile e spesso le donne che ne sono vittime non trovano giustizia. Questo è il motivo per cui ho accettato la parte. Spero di far emergere il problema e di far parlare dell’ingiustizia del sistema giudiziario per quanto riguarda questi crimini. Il film può rappresentare una situazione comune a ogni donna. Quello che penso è che se sempre di più queste ultime parlassero delle loro esperienze forse il sistema giudiziario se ne occuperebbe in maniera diversa. Perché molto spesso i crimini non vengono denunciati e quindi non sono una priorità. Se sempre più donne avranno il coraggio di denunciare questa situazione e la combatteranno ci sarà la possibilità che il nostro governo presti più attenzione a questo argomento.
La tua è una vera e propria performance. Della prima parte ti chiedo di dirmi qualcosa della scena iniziale, perché si trattava di un passaggio pieno di violenza che tu hai reso con la massima verosimiglianza. Al contrario della seconda in cui la drammaturgia cambia e la tua recitazione vi si adatta con un’interpretazione più emotiva che fisica, fatta soprattutto di silenzi e primi piani.
Ad essere onesta non ho ancora visto il film. Dunque, a Venezia sarà la prima volta. Nella scena d’apertura – quella dove Joy viene massacrata di botte dal marito davanti alla sua bambina – doveva esserci molta fisicità ma anche coreografia, dunque c’è voluta molta tecnica per riuscire a farla. Per quanto riguarda la parte emotiva penso che devo molto al fatto che sono una madre e, dunque, c’è molto di me in questo ruolo, anche se a differenza del mio personaggio non ho vissuto un’esperienza altrettanto brutale. Il fatto che lei sia moglie mentre io ho avuto dei figli da un compagno con cui non mi sono sposata penso mi abbia aiutata a ricostruire nel profondo la sfera emotiva di Joy e il dramma da lei vissuto.
Christopher King, che nel film interpreta il ruolo di tuo marito, è scomparso dopo circa un mese dalla fine delle riprese. Com’è stato lavorare con lui?
Lavorare con un artista come lui è stata un’opportunità. Per il cinema filippino la sua perdita ha creato un vuoto. Con ogni attore con cui ho recitato ho sempre cercato di costruire una certa connessione anche al di fuori del set, indipendentemente dal fatto che interpreti mio marito, mia madre o mio figlio. Una delle cose che ho apprezzato era che nella realtà lui era diverso dal suo personaggio. Christopher era molto tranquillo, se ne stava nel suo angolo ma non appena la camera iniziava a riprenderlo si trasformava e io mi nutrivo della sua performance. Rivederlo sul grande schermo sarà un’esperienza molto emozionante e sono molto grata di aver avuto l’opportunità di lavorare con lui. Credo che ciò che ha messo nel film sia la sua eredità. È un bel tributo.
Quanto sei stata libera e quanto invece hai dovuto seguire le indicazione del copione nell’interpretazione del tuo personaggio?
Sia nel provino che all’inizio delle riprese non mi è stato dato il copione ma solo spiegata la trama e che tipo di personaggio avrei dovuto interpretare. Della sceneggiatura potevamo leggere solo la parte relativa alla scena da girare in quel momento. Quindi, a parte prestare attenzione al tema della giustizia e e del sistema legale, Raymond come regista mi ha permesso di interpretare il personaggio come volevo io, e dunque a modo mio. Ovviamente, mi guidava, ma mi lasciava anche libera di reagire secondo ciò che sentiva il mio personaggio.