Soundscreen Film Festival: intervista al direttore Albert Bucci
A Ravenna, dal 21 al 28 Ottobre, torna il Soundscreen Film Festival, giunto alla sua quarta edizione, che trae linfa vitale dallo straordinario rapporto fra cinema e musica. Quest’anno, la manifestazione conta su una grande novità rispetto al passato: grazie ai collaboratori e ai contribuenti, tutti gli appuntamenti, dalle proiezioni agli eventi collaterali, saranno a ingresso gratuito
Taxi Drivers ha intervistato il direttore Albert Bucci che ha dichiarato che da questa edizione dobbiamo aspettarci «tanta energia e freschezza! Il Soundscreen parte dall’idea che un altro tipo di cultura sia possibile: intellettuale senza essere accademica, popolare senza essere populista, intelligente senza essere noiosa, artistica senza essere incomprensibile. La cultura è trasversale; diventa esperienza di vita; apprezza le diversità tra stili, generi e popoli. E quindi aspettatevi di tutto: dalla commedia nera heavy metal finlandese, alla classica ghost-story inglese con uno degli ultimi ruoli di Rutger Hauer; aspiranti rockstar israeliane che lasciano il kibbutz per andare a Londra; rapper norvegesi di origine musulmana condannati a morte in un mondo totalitario alla Orwell; l’esplosiva voglia di vita e musica di un ragazzo down, e tanti altri. Omaggeremo Tom Waits e Jim Jarmusch, due splendidi artisti che sono simbolo del Soundscreen, di cosa significa un Cinema in cui la Musica è protagonista. E infine le sonorizzazioni dal vivo, la cosa che amo di più del festival».
Albert Bucci ha poi delineato il programma del festival e quelli che saranno i momenti imperdibili: «si inizia con L’uomo meccanico (1921) di André Deed, il primo film italiano di fantascienza, una sonorizzazione tra elettronica, noise rumoristico e post rock, realizzata dagli Earthset e da Luca Maria Baldini. Successivamente La coquille et le clergyman (1928) di Germaine Dulac, tra i più grandi film di avanguardia del muto, musicato dai Kyokyokyo, tra rock-noise, ambient e momenti lirici. Momento imperdibile è sicuramente Le Révélateur (1968) di Philippe Garrel, un film muto, sperimentale e lirico, onirico e allegorico, musicato dai Tiresia di Tefano Ghittoni e Bruno Dorella, tra elettronica psichedelica e liquide chitarre. Chiudiamo con il capostipite dell’espressionismo tedesco, l’horror Das Cabinet der Dr Caligari di Robert Wiene (1920), sonorizzato da Alessandro Baris, Beppe Scardino e Gabriele Evangelista, tra jazz dispari, teso e dinamico, e un elettronica cupa e minimalista».
Albert Bucci dichiara che, rispetto alle altre edizioni, questa del 2019 si possa definire, in modo ossimorico, differente per tante cose e in nessuna – ma non è un paradosso logico! La struttura è rimasta invariata, però abbiamo fatto un lavoro di ricerca molto più approfondito su tutto. Il Concorso internazionale presenta 10 film da 10 nazioni diverse, con più anteprime nazionali e più registi ospiti. Abbiamo aumentato il numero delle sonorizzazioni di film muti dal vivo, che sono il nostro tratto distintivo. L’edizione del Soundscreen ha quindi l’intento «di portare sempre più freschezza e intelligenza nella programmazione».
Tra gli ospiti d’onore del festival ci sarà «il grande Abel Ferrara! Che non è solo il grande regista che tutti conoscono, ma anche un musicista di razza. Ci presenterà il suo ultimo documentario Alive in France sulla sua tournée in Francia – e ci omaggerà con un suo concerto live. Ma incontrerete anche diversi registi dei film in concorso – adesso sconosciuti, ma tra qualche anno chissà».
Albert Bucci nonostante faccia fatica a dirci quale film si possa definire imperdibile e, come lui stesso afferma, «quando si fa un Festival, si crede in ogni singolo film, perché è stato scelto per il suo preciso punto di vista sul mondo. Ma se proprio devo sbilanciarmi per un film del Concorso, allora vi dico Tehran: City of Love di Ali Jaberansari dall’Iran. E lo cito perché è il più coraggioso dei film del Soundscreen. Sono tre storie nella Tehran di oggi, simile a tutte le altre metropoli mondiali: un ex campione di bodybuilder sedotto dalla possibilità di fare un film; la segretaria di una clinica di bellezza in sovrappeso, e anche un tantino bruttina e psicopatica; e un cantante religioso, di quelli che suonano per i funerali, in profonda depressione esistenziale. Tutti, a modo loro, come tanti nel mondo, cercano l’amore. Cosa già normalmente difficile in qualsiasi grande città, figuriamoci a Teheran, dove la libertà di cercare l’amore non è così scontata. Un film che affronta con glaciale freddezza le psicosi contemporanee, calandole in una feroce critica della società, con venature di humor nero e grottesco: quasi un Marco Ferreri in versione iraniana. E poi, negli omaggi, il mio film di culto Only Lovers left Alive di Jim Jarmusch. Perché questa dei vampiri musicisti è la più bella storia d’amore degli ultimi anni».
Nella vasta sezione dei cortometraggi la scelta si fa ancora più ardua e, lo stesso direttore, ha difficoltà a individuarne uno che si distingue rispetto agli altri. Albert Bucci ne cita, infatti, ben 10 fra «quelli che compongono il film del Concorso lunghi Happiness Machine, un sofisticato film di animazione composto di 10 storie per 10 registe donne dall’Austria alla Bulgaria al Giappone, dedicato alla politica e all’economia. Un bellissimo film, probabilmente il più “difficile” di tutto il festival, ma che mostra bene come l’arte contemporanea possa essere anche analisi sociale ed economica».
Il SOUNDSCREEN FILM FESTIVAL vanta inoltre numerosi eventi collaterali da segnalare su tutti «la presentazione della graphic novel Il prisma oscuro del nostro amico e collaboratore Maurizio Principato, fantastica crime story a fumetti scritta insieme a Max Avogadro, e appena uscita per Bonelli».
L’edizione targata 2019 del SOUNDSCREEN FILM FESTIVAL si distingue per un carattere eterogeneo, composta da più anime al suo interno che vanno a delinearne la volontà di abbracciare più generi, più visioni e più suoni. Fra cinema e musica quest’ultima edizione si prefigura l’intento di mettere in sinergia più arti e più forme espressive; in un vero connubio di visioni per aprire occhi e orecchie verso un pastiche visivo-sonoro unico.