Il tempo lungo di Andrea Canepari raccoglie la memoria delle riprese di Novecento di Bernardo Bertolucci attraverso la voce e il volto di Demesio Lusardi che interpretò uno dei personaggi di quella famosa pellicola, Censo Dalcò.
Alla vigilia del compimento del novantesimo anno, Demesio ricorda il periodo delle riprese del film di Bertolucci, avvenuto nella corte del suo casolare dove ha sempre vissuto, come uno dei più belli e felici, immerso nel sogno del cinematografo. Il protagonista vorrebbe incontrare di nuovo Robert De Niro e Gerard Depardieu, che all’epoca erano giovani attori con un futuro davanti da grandi protagonisti del cinema mondiale. Ma anche Donald Sutherland e Stefania Sandrelli. Prima prova a contattarli telefonicamente, ma senza successo. Poi con l’aiuto di tre bambini intraprendenti, tra cui suo nipote, cerca notizie e contatti e scrive delle lettere personali da inviare agli ormai anziani e famosi attori.
Canepari utilizza per Il tempo lungo il genere del documentario creando una narrazione metaforica e iperrealista, con l’introduzione di un gruppo di attori muti che si aggira nell’aia e una festa per il compleanno notturna tra una folla raccolta intorno a Demesio in attesa di una limousine per l’arrivo dei compagni di lavoro di Novecento. In un’atmosfera felliniana, dalla lunga e bianca auto però scendono solo delle capre, simbolo di quella distanza siderale di un tempo non più replicabile e di persone che ormai sono diventate altro rispetto ai ricordi dell’anziano protagonista.
Il regista sfrutta al massimo il corpo e il volto di Demesio con primi piani e totali emotivamente intensi, dove i movimenti claudicanti, le profonde rughe che solcano la faccia dell’uomo e il suo respiro corto e pesante sono come elementi diegetici di un passato remoto che non esiste più se non nella mente di Demesio. Ma Canepari va oltre. Con le testimonianze di molte persone raccolte, rappresenta la memoria di un territorio piacentino che è stato segnato per sempre dal passaggio del grande cinema e che in qualche modo ha cristallizzato le vite di tutti in un “tempo lungo”, appunto, quasi bloccati su un set immaginario perituro.
I campi lunghi e lunghissimi delle campagne assolate e deserte dell’Emilia appaiono come un cimitero di ricordi evanescenti, coperte da macerie di luoghi che non esistono più. Le sequenze delle strade sterrate percorse da un corteo funebre, composto dai protagonisti locali dell’epoca, sono la metafora di un periodo scomparso che si eternizza nella memoria collettiva di un’intera comunità. Il cinematografo diventa così metafora di sogni che possono modificare la realtà e creare illusioni onniscienti, in cui vivere nell’attesa della sua ripetizione. Un’attesa che si prolunga nel tempo, bloccato per sempre. Presentato nel concorso italiano 5° Festival Internazionale del Documentario Visioni dal Mondo, Il tempo lungo è un’amara testimonianza delle illusioni che il cinema crea e di un tempo felix irripetibile.