Presentato fuori concorso al 5° Festival Internazionale del Documentario Visioni dal Mondo, L’uomo che visse tre volte di Irish Braschi è un docufiction biografico del giornalista e scrittore Mario Pirani (1925-2015), tra i fondatori del quotidiano La Repubblica e tra le voci più competenti del giornalismo finanziario.
Basato sull’autobiografia di Pirani, “Poteva andare peggio. Mezzo secolo di ragionevoli illusioni” edito da Mondadori, L’uomo che visse tre volte segue la vita del protagonista attraversando la storia del Novecento italiano attraverso i ricordi di vita e professionali dello scrittore. La pellicola è divisa in quattro parti principali. Nel prologo è raccontata l’infanzia dorata di Pirani al Lido di Venezia, dove i genitori, ricchi borghesi di una famiglia di origine ebraica, passavano l’estate, gli anni del Fascismo, le leggi razziali e poi della guerra. Nella prima parte, è sceneggiata la “prima vita” di Mario Pirani, dal secondo dopoguerra fino agli anni Sessanta, il suo impegno politico nel Partito Comunista Italiano che lo vide protagonista fino a diventare un funzionario di primo piano prima a Roma e poi a Venezia nella comunicazione e propaganda. Dopo l’invasione dell’Ungheria da parte dell’Unione Sovietica, Pirani inizia a essere una voce critica all’interno del partito, fino al suo isolamento e l’abbandono definitivo del suo ruolo. La “seconda vita” mette in scena il breve, ma intenso periodo da dirigente dell’Eni alle dirette dipendenze di Enrico Mattei, fondatore e presidente, come suo inviato particolare nei paesi del Nordafrica durante la rivoluzione algerina e l’affermazione della compagnia. Pirani lascia l’azienda subito dopo la morte di Mattei, avvenuta con l’incidente aereo nel 1962, rituffandosi nel giornalismo, suo primo amore e sempre pratico nelle sue varie vesti nel passato. Prima come inviato de Il Giorno a Bruxelles – all’epoca organo dell’ENI – poi come direttore del quotidiano finanziario Il Globo e infine come responsabile del settore economico de La Repubblica che ha contribuito a fondare insieme ad Eugenio Scalfari.
Irish Braschi sceglie di comporre L’uomo che visse tre volte coniugando finzione e documenti di repertorio. Un uomo, interpretato da Neri Marcorè, compie un lungo viaggio silente nei luoghi della vita di Pirani, narrando le vicende in voice over, vestito con abiti degli anni Trenta e una vecchia valigia piena di ricordi, fotografie e documenti personali d’epoca, di Pirani. La figura “storicizzata” percorre le città, le strade, gli uffici, gli alberghi e le case, in cui ha vissuto il giornalista, creando un fil rouge tra passato e presente, come un collegamento ideale, una continuità emotiva che sopravvive all’uomo.
In L’uomo che visse tre volte sono montate, in particolare nella prima parte della pellicola, di filmati d’epoca tratti dal ricco archivio dell’Istituto Luce e da tre interviste: a Giorgio Napolitano, presidente emerito della Repubblica, amico giovanile dell’economista ai tempi del partito; dal primo rappresentante americano scelto dallo stesso Pirani; da Eugenio Scalfari che narra il suo primo incontro con il futuro collaboratore.
Mettere in scena un biopic non è mai facile. Braschi organizza un memoir molto personale con un taglio quasi elegiaco. Anche se non nelle sue intenzioni – come ha dichiarato lo stesso regista alla presentazione del film – L’uomo che visse tre volte cade a volte in un tono agiografico e la narrazione lotta in continuazione con un certo didascalismo nell’esposizione storica, in cui l’aspetto più interessante è proprio il punto di vista della storia d’Italia vissuta da un testimone privilegiato. Ma spesso L’uomo che visse tre volte diventa un monumento postumo alla figura di Mario Pirani – e forse questo, alla fine vuole essere – dove le vicende storico-sociali sono accennate quel tanto che basta per posizionare i ricordi, ma scendendo in profondità. Una visione totalmente soggettiva dove il suo interesse è anche il suo limite.