Genitori Quasi Perfetti è il tuo secondo film come regista. Hai riscontrato maggiori o minori difficoltà nella messa in scena rispetto al primo?
Sono due film molto diversi. Tra Cinque Minuti In Scena è un film che si è un po’ autogenerato ed è fatto di linguaggi diversi. Nasce da un documentario, attorno al quale ho sviluppato un’idea drammaturgica. La protagonista è l’attrice Gianna Coletti, che ha una madre molto anziana di cui deve prendersi cura, con un rapporto tragicomico molto commovente e divertente al tempo stesso. Il punto di partenza per trasformare la loro vita in un film era che Gianna venisse chiamata a teatro per fare uno spettacolo sullo stesso tema della sua vita, per raccontare la difficoltà di mediare tra la realtà e la messa scena e riuscire a mantenersi viva mentre si prende cura della morte dell’altra persona. Genitori Quasi Perfetti, pur avendo dei tratti in comune col primo in quanto affronta tematiche relazionali e genitoriali, ha un lavoro di tecnica e controllo di scrittura e messa e scena. È stato più pensato per il pubblico: la volontà era quella di trasformarlo in una bomba ad orologeria, in un crescendo. Abbiamo lavorato molto sulla scrittura e sugli attori per partire da maschere sociali e renderle umane, con cui empatizzare. Per renderlo avvincente abbiamo lavorato molto sul crescendo della tensione e dell’emozione delle scene, così come sul cambiamento dello stile di regia. Il primo è stato più doloroso, perché c’era una parte di coinvolgimento, questo invece è stato decisamente più divertente in quanto avevo un gruppo di attori con cui fare famiglia.
Il film si apre con Simona che si lamenta per l’arrivo di 109 notifiche sul gruppo WhatsApp dei genitori. Lei stessa sostiene di avere paura di divenire “mezzo del mezzo”. La tecnologia ha il merito di aver facilitato il confronto tra genitori?
No. È impossibile il confronto. Io sono convinta che i media ci modifichino, anche se li inventiamo noi. È impossibile avere un confronto, attraverso le chat. Dovrebbero vietarle: portano inevitabilmente alla brevità, al giudizio, al pregiudizio, alla presa di posizione. Si creano necessariamente dei conflitti. Magari possono facilitare l’organizzarsi per un appuntamento. In realtà, rovinano completamente le relazioni.
Tutti i genitori sembrano aspirare a un ideale di perfezione. L’unico genitore che si rifiuta e ricorda l’importanza di essere se stessi è sicuramente la mamma lesbica, che ha sperimentato sulla sua pelle la sofferenza dell’essere vista come diversa. Un genitore, prima ancora di guardare a un modello e imporlo ai figli, dovrebbe fare i conti col proprio sé?
Sì, succede anche a me. Io, attraverso questo film, sono molto autocritica. Io rivedo in tutti questi genitori i miei possibili sbagli. È un po’ lo stato delle cose, com’è diventata la nostra società: quanto è diventata performativa e social. Ti porta ad esibirti. Ti viene un po’ richiesto costantemente di dire che modello sei come genitore. Veniamo spinti a una semplificazione di noi stessi, anche come umani. Ci siamo semplificati in dei post. È come se prendere una posizione contraddittoria ci dia un minimo di significanza. Il film non vuole essere giudicante. La mamma omosessuale vorrebbe sfuggire, essere quanto più normale e invisibile possibile. È un personaggio positivo, ma anche molto sofferente: non ha nemmeno la forza di reagire.
Il padre vegano, interpretato da Paolo Calabresi, sostiene di essersi accostato alla sensualità femminile attraverso il cinema francese. La citazione di Truffaut, anche se in chiave ironica, è un omaggio a questo cinema?
Il mio punto esistenziale è essere autoironica anche verso la mia cinefilia. È un po’ la stessa cosa che faccio col veganesimo: racconto una coppia che si è costruita delle maschere con le quali si permette di giudicare tutti quanti, dall’alto verso il basso. Questa finta civiltà che viene esibita costantemente diventa radical chic, una forma di violenza verso gli altri. È un gioco, assolutamente, autoironico.
Qual è il messaggio che vorresti trasmettere attraverso la visione di questa commedia?
Non penso ai film in riferimento a un messaggio, sono degli oggetti organici come dei figli. Scopri solo strada facendo, anche chiacchierando con la stampa e il pubblico, qual è la cosa che stai dicendo. Non volevo trasmettere un messaggio moralista. Intendevo porre delle domande, invitare a fermarsi a guardare cosa stiamo diventando come genitori e, prima ancora, come essere umani. Siamo così tanto distratti dal postare chi siamo che ci dimentichiamo di essere con gli altri e di lasciare spazio anche a loro.