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Venezia 76: El principe. Conversazione con Sebastian Munoz e Alfredo Castro (Settimana internazionale della critica)
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5 anni agoon
Ambientato dentro il carcere dove sono detenuti i protagonisti, le vicende de El Principe sono collocate nel Cile del 1970, quello in cui sale al potere Salvatore Allende. Se è chiaro che il carcere, e in particolare la cella in cui sono rinchiusi i personaggi, rappresenta un luogo dell’anima, mi interessava capire qualcosa di più sulla scelta dell’epoca in questione.
Sebastian Muñoz: El Principe parla di un argomento universale. Ho scelto quel periodo perché era un’epoca nella quale l’amore omosessuale, o avere una relazione tra uomini, era una cosa assolutamente vietata. Alla fine lo spazio della prigione diventa lo spazio della libertà del corpo, perché in quel luogo i detenuti possono convivere e avere relazioni eterosessuali e omosessuali.
La prigione non è solo una sorta di terra di nessuno dove tutto è possibile, ma anche un laboratorio dove gli uomini sperimentano nuovi tipi di relazioni. Tra l’altro, scegli di filmare quell’ambiente in maniera frontale, come se fosse il palco di un teatro.
S.M: Si tratta di una vera prigione ricavata da un vecchio edificio del ‘900. Essendo oramai vuota abbiamo deciso di girare lì, con la particolarità di considerare la sua architettura come una sorta di persona. Come contenitore dei corpi dei protagonisti, il carcere diventa esso stesso un personaggio, un vero e proprio corpo vivente.
Come attore, che tipo di sfida ha rappresentato anche in termini di performance fisica girare un film come El Principe, considerando che buona parte delle scene le hai condivise restando nudo con altri uomini all’interno di una spazio chiuso e angusto?
Alfredo Castro: Per me questo è stato un film molto importante. È stata una sfida verso il mondo etero. Il carcere e la cella sono spazi di libertà in cui essere eterosessuali o omosessuali è indifferente e non ha alcuna importanza. È solo una questione di feeling e di sensibilità. La sfida è stata quella di mostrare il mio corpo invecchiato insieme a quelli di uomini più giovani di me. Il Cile è un paese molto omofobo e come uomini non possiamo esprimere i nostri sentimenti, solo le donne possono farlo. Eravamo sempre nudi e Sebastian ha osato mostrarci in situazioni molto forti. Abbiamo scosso molto il mondo etero.
Spesso hai lavorato con registi poco conosciuti che in seguito lo sono diventati, come è successo a Pablo Larraìn.
AC: Penso sia stato solo una questione di fortuna, oppure di destino già scritto, ma in questo caso sono veramente molto felice di aver scelto questo progetto, perché avevo voglia di mettere in scena l’argomento di cui trattava.
Il film è una storia di formazione, ma anche un’educazione sentimentale trattata con le forme del melodramma. In esso uno dei temi centrali è il rapporto tra le persone e, in particolare, l’amore inteso come possesso.
S.M.: Il concetto di possesso deve essere inteso alla luce della situazione vissuta dai personaggi. Dunque, direi che si tratta più che altro di un’appropriazione, in quanto in carcere quello che puoi possedere è solo il corpo di qualcuno. Ora ci sono i cellulari, ma a quel tempo non era possibile avere un telefono per comunicare con il mondo esterno. Tutto quello che potevi avere era il corpo di qualcun altro. In quel frangente ogni uomo aveva il proprio spazio, la propria cella e nessuno vi poteva entrare.
Mi sembra che El Principe sia una storia senza mezze misure, dominata soprattutto da istinti e da necessità primordiali. Tu hai recitato in molti film in cui le sfumature erano importanti. Qui, invece, mi sembra che le differenze siano più nette e meno concilianti.
A.C.: Non sono d’accordo con te. Nel film ci sono diversi livelli che si sviluppano nel corso della vicenda. Se tu pensi che all’inizio sono io che possiedo il giovane protagonista, mentre più tardi gli offro il mio corpo perché lo faccia lui, mi pare che questa sia una differenza molto importante.
All’inizio, Jaime appare fragile e introverso, poi, lentamente, scopriamo che è in grado di prendersi ciò che desidera.
S.M.: Jaime (Juan Carlos Maldonado, ndr) è un personaggio molto narcisista e lo si vede nella scena in cui vede l’amico ballare con un uomo più anziano. La reazione che lo spinge ad alzarsi e ad andare a baciare il ragazzo è da legare al concetto di possesso e non alla gelosia. Dal punto di vista dei sentimenti, Jaime è un personaggio molto passionale e irrazionale e quando vede un suo amico fare sesso con una ragazza si masturba e poi si comporta come un animale, girando per la stanza e mettendosi ad annusare da una parte all’altra.
Nel film esiste una dialettica tra la prigione e il mondo esterno e, dunque, una relazione tra vedere e non vedere. Mentre giravi il film pensavi di creare questo tipo di dialogo?
S.M.: Come periodo storico ho scelto la salita al potere di Allende. Attraverso la radio faccio sentire il suo primo discorso, quello in cui dice al popolo di tornare a casa e di essere felice ma di prestare attenzione al futuro perché arriveranno giorni molto difficili. Ho voluto, quindi, far vedere anche l’altra faccia di questo periodo. A quell’epoca nelle strade si respirava una sensazione di felicità e di gioia rispetto al futuro, mentre questi uomini sono emarginati dentro la prigione. Si trattava di persone di diversa fede politica e l’omosessualità era sempre presente.
Mentre nel cinema di oggi le tematiche di genere tendono a mettere al centro della loro indagine la condizione della donna tu fai un’operazione opposta, facendo di quella maschile l’oggetto della tua analisi.
S.M.: El Principe è un film molto politico. Come ha già detto Alfredo, penso sia la prima volta che nel cinema cileno vediamo un uomo completamente nudo e non una donna, come accade nella maggior parte dei lungometraggi. Nelle relazioni sessuali il corpo nudo è quella della donna, nel mio succede l’opposto.
Le tue sono interpretazioni destinate a lasciare il segno per coraggio e verosimiglianza. Parlando di questo film, ma anche in generale, ti chiedo che tipo di approccio hai nei confronti dei tuoi personaggi?
A.C.: Parlo molto apertamente con il regista e poi vado sul set senza memorizzare o preparare in anticipo il mio personaggio; mi piace improvvisare al momento. Non so come spiegartelo ma non memorizzo la mia parte, mi limito a viverla. Così, per El Principe sono stato per sei mesi quel personaggio.
Riguardo alla preparazione, hai visitato le prigioni e frequentato i detenuti o ti sei, per cosi dire, limitato a studiare la sceneggiatura?
A.C.: Mi sono preparato leggendo molto. Poi, che dire, ho una certa cultura di quel mondo, non sono un attore alle prime armi e ho delle buone basi. Questo mi è bastato.
Posso chiederti perché ha scelto di lavorare con Alfredo?
S.M.: Direi per il carisma che emana. Ho visto in lui una certa poesia nei confronti del mondo.