Presentato in anteprima mondiale nella sezione Sconfini, alla 76esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia – dove ha vinto il Filming Italy Award – American Skin sbarca il 24 maggio 2021 su Sky Cinema Uno e in streaming su NOW.
American Skin | La trama
La pellicola vede come protagonista il giovane Jordin King (Shane Paul McGhie). Aspirante regista e studente di cinema, il giovane sceglie di raccontare, per il suo progetto scolastico, la storia di Lincoln Jefferson (Nate Parker, anche regista e sceneggiatore) e del figlio quattordicenne, ucciso da un agente di polizia.
Mentre si attende l’esito del processo al poliziotto che ha premuto il grilletto, Jordin prepara l’intervista con Lincoln. Ma nel momento in cui al telegiornale giunge la notizia del proscioglimento del caso, la situazione peggiora vorticosamente.
Lincoln decide infatti di farsi giustizia da solo, irrompendo nella centrale di polizia in cui lavora il responsabile della morte del figlio.
American Skin | Cast & Crew
Accanto a Parker e a McGhie, troviamo volti celebri del piccolo schermo, quali per esempio Theo Rossi (Sons of Anarchy) e Omari Hardwick (Power) – entrambi nel cast del recente Army of the Dead.
E ancora Milauna Jackson (Strike Back), Mo McRae (sempre da Sons of Anarchy) e Beau Knapp, caratterista abituato ai ruoli di “cattivo”.
La pellicola è prodotta da Tarak Ben Ammar, Mark Burg e Lukas Behnken. Distribuisce (in Italia) Eagle Pictures.
Nate Parker e la critica alla società statunitense
Dopo essersi fatto notare alla kermesse capitolina del 2016 con il provocatorio The Birth of a Nation, a distanza da un anno dalla morte di George Floyd, Parker torna dietro e davanti la macchina da presa per un’altra opera di aperta critica alla società statunitense e, in particolar modo, ai suoi pregiudizi nei confronti della comunità di colore.
Ambientato ai giorni nostri, American Skin parte da un evento ormai tanto comune quanto terribile, per arrivare a un capovolgimento totale del punto di vista – così come era accaduto nel precedente lavoro – che porta lo spettatore a rimettere tutto in discussione, a dubitare di ciò che sembrava scontato e giusto, a interrogarsi su dove sia la verità e su come sia possibile andare avanti dopo una tragedia di simile portata.
Un cambio di prospettiva che fa riflettere
Sin dalla scena di apertura, suggestivamente e perfettamente realizzata allo scopo di creare un’ansia che cresce e si avvinghia ad ogni fibra, appare evidente la posizione del cineasta: Parker è uno senza mezze misure e timori, sa da che parte stare e da lì punta il dito, almeno sullo schermo, in veste di protagonista.
Ma la sua bravura e la grande capacità di analisi – che lo rendono senza dubbio uno dei migliori della sua generazione – si rivelano nel momento in cui inevitabilmente la prospettiva cambia.
Appena si va a mostrare anche solo la superficie della società statunitense, emergono le nefandezze celate dietro una facciata di libertà, giustizia, rispetto. E non è necessario scavare troppo a fondo, e non è umanamente accettabile quello che avviene ogni giorno per le strade e nelle città popolate di neri.
Come si misura la grandezza di un paese?
Non ci sono leggi, non ci sono diritti. Quando si tratta di avere di fronte un colore diverso dal proprio, nella polizia bianca sembra scattare un meccanismo assurdo, per cui la pistola diventa quasi una semplice estensione della mano.
Semplice ma letale, perché da essa non nasce un pugno, ma un colpo che rischia di ferire, se non addirittura uccidere un essere umano.
Ma la pellicola non si ferma qui, va oltre. Illustra come il sistema sia, molto probabilmente, marcio alla base, e come sia facile causare un’escalation di violenza, che non porta mai a nulla, se non ad altre morti e ad altra sofferenza.
Il problema della razza e del razzismo è posto quindi in primo piano. Parker forza la mano su determinati elementi con la strenua volontà di esibire (e magari metabolizzare) tutta la delusione e il dolore. Conseguenze del vivere in una nazione che potrebbe essere grande, fungere da esempio per gli altri, ma che invece si perde dentro un bicchiere d’acqua.
American Skin | Un’opera necessaria e dolorosa
Pregevole la scelta di sviluppare la narrazione usando l’escamotage del documentario. Si susseguono così inserti video che fungono da ricordi, e che rafforzano le emozioni in essi contenute, dando modo di ascoltare le voci di chi è più o meno coinvolto.
Permettendo al tempo stesso allo spettatore di addentrarsi sempre più a fondo nella vicenda, avendone anche un quadro più completo.
Quando i confini si confondono e non è possibile tornare indietro nel tempo, giungere a soluzioni estreme sembra l’unico modo per andare avanti, sopravvivere e poter finalmente avere un giusto riconoscimento, per quanto misero possa apparire.
Sulla scia di pellicole quali Un pomeriggio di un giorno da cani e John Q., American Skin è un’opera intensa e magnifica, capace di raccontare uno spaccato quanto mai attuale e devastante di un momento storico di crisi. E di farlo con una chiarezza che fa male al cuore.
*Salve sono Sabrina, se volete leggere altri miei articoli cliccate qui.