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Ad Astra di James Gray: il tentativo dell’uomo di avvicinarsi all’assoluto

Ad Astra di James Gray, fresco del Concorso di Venezia 76 e pronto ad arrivare in sala, rivela una potenza spirituale davvero singolare

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Siamo soli nell’universo. Completamente soli. Eppure rincorriamo disperatamente “l’altro da sé” da sempre. Ad Astra di James Gray, fresco del Concorso di Venezia 76 e pronto ad arrivare in sala, rivela una potenza spirituale davvero singolare. Lo spunto ideale che ha dato vita al film è, nelle stesse parole di Gray, una citazione di Arthur C. Clarke, autore di 2001: Odissea nello spazio: “Esistono due possibilità: o siamo soli nell’universo, o non lo siamo. Entrambe sono terrificanti”.

Il viaggio nello spazio del suo protagonista, Roy McBride, alias Brad Pitt, ispirato e perfetto nel sunto dell’uomo che è e che verrà, è un ritorno alle origini incarnato nella caccia al padre (Dio, senso, causa, Ente) Clifford McBride (il granitico Tommy Lee Jones), astronauta modello, pioniere assoluto, che sedici anni prima si era lanciato nella spedizione più lunga: verso i confini del sistema solare, alla ricerca di forme di vita intelligente extra terrestri. Da allora, silenzio. Un silenzio interpretato da tutti come morte. Improvvisamente il pianeta Terra viene minacciato da frequenti tempeste elettromagnetiche. Roy McBride, a sua volta stimato e impavido astronauta, viene coinvolto in un segreto militare e usato come esca per far uscire allo scoperto il padre: non è morto, è ancora là, suo padre, alle soglie del pianeta Nettuno. La sua astronave è l’origine della possibile distruzione della Terra. Sarà Roy ad aprire l’inseguimento e a completare il lavoro nonostante tutto, alla scoperta di un uomo che in realtà non ha mai conosciuto veramente.

Gray ci proietta in una colonizzazione spaziale già avanzata, specchio di quello che l’ingordigia umana farà della Luna, già parzialmente occupata, mercificata, e del cosmo, nuovo territorio di conquiste per cercare di colmare un vuoto di nascita, di significato. Cercare, indefessamente, qualcosa, qualcuno, dominare l’indomabile, catturare l’inafferrabile. Lo stesso Roy, individuale, autosufficiente, equilibrato e nel pieno controllo di se stesso, i cui battiti cardiaci non superano gli ottanta al minuto nelle situazioni più critiche, incarna l’essere umano e il suo tentativo di avvicinarsi all’assoluto. Lontano dalla Terra, dalla luce del Sole, dalla natura, lontano dagli altri, egoista e consapevole, chiuso ed incapace di esternare emozioni. Costantemente sottoposto ad un monitoraggio psicologico, l’uomo che verrà è ancora più solo e ancora più bisognoso dell’altro da sé. I padri, suo padre, un mito smascherato, sono il simbolo di questa cieca evoluzione, di questa perdita di essenza, di appartenenza. Il viaggio che Roy intraprenderà fino ai confini dell’universo lo unirà alle sue radici e paradossalmente, rinnegandole, lo avvicinerà all’umanità in una condivisione di condizione più sopportabile grazie all’amore, a un ritrovarsi umano e terreno, più divinamente di prima legato all’universo e al nulla.

La dolce e sublime malinconia del sonoro, una costante del cinema di Gray, ci risucchia in una dimensione che attraverso le traiettorie del buio cosmico, degli interstizi freddi e asettici di un’astronave, delle gabbie degli insediamenti lunari, si fa canto ininterrotto dell’anima, tra angoscia, stupore, speranza, voglia di fuggire dalla Terra e voglia di restare, protetti nell’umanità e nel suo mondo. I rimandi-richiami a suggestioni tracciate da altri sguardi e da altro cinema, sorvolano, non si appiccicano al film. Ad Astra rimane ben compiuto e definito nella sua individualità tutta Grayana, riempiendoci gli occhi, la mente e i sensi.

  • Anno: 2019
  • Durata: 124'
  • Distribuzione: 20th Century Fox
  • Genere: Fantascienza
  • Nazionalita: USA, Brasile
  • Regia: James Gray
  • Data di uscita: 26-September-2019

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