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Conversation

Venezia 76: Il volto antico dell’amore. Conversazione con Denise Sardisco, interprete di Martin Eden

Nella parte di Margherita, interpretata nel nuovo film di Pietro Marcello, Denise Sardisco consegna allo spettatore un personaggio indimenticabile e una figura femminile sospesa tra antico e moderno, dimostrando una sensibilità cinematografica che ne fanno una delle rivelazioni della 76 Mostra del cinema di Venezia. Le abbiamo chiesto di raccontarci il "suo" Martin Eden

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Leggendo il tuo curriculum si capisce che sei orientata a scelte di qualità. Hai portato in scena Tradimenti di Harold Pinter, mentre nel cinema esordisci con Pietro Marcello, dopo essere stata diretta (per la televisione) da Daniele Vicari e Marco Pontecorvo.

Assolutamente. Fin da piccola ho aspirato sempre al massimo, nella convinzione che prima o poi questo dovesse arrivare. Non mi accontento mai, per cui la scelta di autori cosiddetti grandi, nulla togliendo alla televisione e ai suoi prodotti, si fa frequentando altri palcoscenici. Anche se molto giovane, la mia è una scelta drastica che spero mi porti all’obiettivo a cui voglio arrivare. Sin da bambina sono sempre stata stimolata dalla lettura dei classici e parlo, tra gli altri, de Il gattopardo e I Beati Paoli. In casa della mia nonna materna si respirava questa aria che poi mi ha portato alla totale ammirazione per Claudia Cardinale, diretta conseguenza di uno dei primi film che mi venne  fatto vedere, ovvero Il gattopardo. Questo per dire che si tratta di scelte consapevoli, accettate per raggiungere determinati obiettivi.

La tua presenza nel cast di Martin Eden conferma questa tendenza, essendo Pietro Marcello uno dei registi di punta del nostro cinema. Nel suo film tu rappresenti l’ultima ancora di salvezza del protagonista, la sola che può salvarlo dal suo deragliamento psicologico ed emotivo. Da dove sei partita per creare il tuo personaggio?

Il provino con Marcello è stato sorprendente, ed è andato nella direzione che mi ero immaginata. Nulla togliendo alle procedure più classiche, il suo è stato davvero particolare. Partendo dal testo e, in particolare, dal monologo iniziale affidato a Margherita, abbiamo sperimentato e creato. Una volta uscita dalla stanza mi sono detta che qualsiasi fosse stato il risultato non avrebbe fatto venire meno la mia contentezza per averlo fatto. Questo incontro è stata la scintilla iniziale che mi ha permesso in quelli successivi di creare il personaggio, la cui vita esisteva già.

Mi sembra di capire che dal provino Marcello volesse, in un certo modo, sovrapporre la tua essenza a quella di Margherita, facendoti diventare “semplicemente” il personaggio.

Chi mi conosce e ha visto il film mi ha detto che sembro un’altra persona perché io ho veramente poco di Margherita. Dalla mia ho avuto una grande fonte di ispirazione e soprattutto Pietro è stato molto bravo a farmi comprendere quale doveva essere il ruolo del personaggio. Se ci fai caso, ad un certo punto, Martin Eden la respinge perché se cosi non facesse dovrebbe continuare a vivere. Lui vuole morire e Margherita diventerebbe un motivo per cui continuare a vivere. Più volte Russ Brissenden (interpretato da Carlo Cecchi, ndr) gli dice di prendersi una donna che abbia cura di lui e che lo ami per quello che è. Lei è una donna proletaria, legata a Martin da un amore disinteressato, che in qualche modo si potrebbe definire materno e accogliente.

Margherita rappresenta l’amore assoluto, quello svincolato dai ragionamenti e dai processi psicologici che, invece, attanagliano l’esistenza di Martin. Paradossalmente, lei costituisce un pericolo per lo sviluppo del suo percorso emotivo.

Pericolo no, si tratta piuttosto di una salvezza che lui rifiuta. Margherita, nonostante sia proletaria e provinciale, ha una mentalità tutt’altro che chiusa ed è grazie all’amore che ha questa compassione nei confronti di Martin. Tant’è che continua ad accoglierlo nonostante i continui rifiuti da parte sua. A me il suo personaggio ha fatto comprendere che la compassione è l’elemento base di ogni relazione.

L’accoglienza è una predisposizione molto femminile che però fenomeni come il #metoo stanno mettendo in discussione. Al contrario, il modello di donna proposta dal tuo personaggio è capace di armonizzare antico e moderno, passato e presente, perché poi Margherita è una persona forte che sa quello che vuole. È lei che sceglie.

Si, assolutamente, e lo si vede nella scena prima della conferenza, in cui lei fa di tutto per mantenere una dignità di donna, nonostante questo suo modo di essere compassionevole ed accogliente. È una donna forte che attraverso l’amore vuole far capire al suo amato che c’è una persona pronta per lui. Margherita non perde mai la speranza, lotta e, a un certo punto, riesce anche a emanciparsi, come sottolineato dal cambio di guardaroba e dal fatto di andare a fare shopping per lui. C’è tutta una parte che non è visibile nel film in cui Margherita si evolve. Un cambiamento di cui io e Pietro abbiamo molto parlato.

Foto di Ilyà Sapeha

Infatti, dopo averti perso di vista, ti ritroviamo direttamente nell’entourage di Martin, nel frattempo diventato uno scrittore di fama. Questo fuori campo come lo avete gestito?

Continuando a lavorare sul personaggio. In più Pietro ha deciso di girare i primi due mesi per poi concederci un’interruzione che mi ha permesso di metabolizzare tutto quello che era accaduto. Quando abbiamo ripreso mi sono ritrovata davanti un Martin Eden completamente diverso, quindi anche la mia reazione lo è stata. I cambiamenti hanno riguardato pure l’aspetto di Margherita, opposto a quello di prima e per questo bisognoso di un atteggiamento differente da parte sua. In questo tempo lei è vicina a Martin, ma la scelta di andare a vivere con lui, occuparsi della casa e fare la spesa la fanno insieme, e lei diventa il tipo di donna che Brissenden aveva consigliato a lui. Ciononostante, Martin continua imperterrito a voler abbandonarsi, mentre lei rimane sempre la luce della sua vita. C’è una frase che Pietro mi disse ed è una di quelle che mi ha fatto comprendere fino in fondo il mio personaggio e cioè: “I poveri non possono permettersi di essere tristi, sono già poveri”. Ripeterla mi fa venire, anche adesso, la pelle d’oca perché è quella che, mentre discutevamo, mi ha illuminato su chi era davvero Margherita. Questa consapevolezza si è fatta sentire anche sul piano del linguaggio del corpo, perché da lì in poi ho iniziato ad agire con movimenti lenti. Se hai notato, lei non è mai frenetica ma, al contrario, calma e avvolgente. Questo le permette di trasmette quel sentimento di accoglienza di cui parlavamo. Tutte opzioni che abbiamo studiato insieme al regista.

Ciò che mi ha colpito è come tu sia riuscita a far convivere il lato più forte di Margherita con quello romantico e amorevole. Come hai lavorato per vivere contemporaneamente questi due stati d’animo? 

Io sono palermitana, per cui mi sono ispirata tantissimo alle donne del sud, di cui Margherita è la quintessenza. Ho passato tanti pomeriggi della mia adolescenza insieme alla mia bisnonna che ha vissuto nel Novecento: anche lei è andata al cinema a vedere il film e l’effetto è stato quello di farla tornare indietro di tantissimi anni. Una volta a casa, la prima cosa che mi ha detto è che Margherita era tale e quale a sua madre. Dunque, è come se avessi immagazzinato i suoi racconti per farli uscire nel momento in cui me lo ha chiesto Pietro. C’è da dire poi che, a parte gli aspetti tecnici, basta indossare un determinato vestito per sentirti immediatamente nel personaggio. Per quanto mi riguarda, mi sono fatta trasportare ed ho sentito subito Margherita dentro di me.

Nella tua interpretazione, infatti, sei capace di mettere da parte la tecnica, o meglio di non farla vedere, per fare emergere le emozioni che ti permettono di diventare il personaggio.

La tecnica ti serve per allenarti, però finito questo momento bisogna abbandonarla, altrimenti l’emozione rimane frenata e non riesce a compiere il miracolo per cui lo spettatore si avvicina alla storia credendo a ciò che sta vedendo. Lavorare accanto a Luca per me è stato fondamentale in quanto gli aspetti relativi alla sua grande professionalità li ho del tutto dimenticati, semplicemente perché in quegli attimi non c’erano. Stiamo comunque parlando della mia prima esperienza cinematografica di alto livello e Pietro, da grande documentarista, è stato sempre alla ricerca della verità per cui se non gliel’avessi restituita non mi avrebbe accolto. Che poi tu mi dica questa cosa mi fa felice, perché sono contenta che tu lo abbia notato e che si veda.

Tra l’altro, questa immedesimazione ti permette di assottigliare le distanze che di solito si stabiliscono tra pubblico e personaggio.

Ti dirò, Margherita mi è mancata tanto quando sono finite le riprese e rivederla nel corso dell’anteprima mi ha sconvolto ed emozionata. Improvvisamente ho risentito dentro di me le sue emozioni, sopratutto nella scena del porto in cui lei lo aspetta per partire insieme verso l’America. Se avessi potuto sarei corsa subito ad abbracciarla.

Nella storia Margherita è anche il contraltare materico alla femminilità rarefatta e distante di Elena Orsini, la donna di cui Martin è innamorato. La tua però è anche una presenza silenziosa, capace di interiorizzare e tenere per sé i propri sentimenti. Non dice ma è come se dicesse più di tutte.

Si, è un personaggio silente che a mio avviso parla molto attraverso gli occhi. A riguardo, la dice lunga la sequenza in cui si incontra con Elena. Si tratta di un passaggio di grande potenza in cui gli sguardi tra le due donne non sono conflittuali ma esprimono una solidarietà femminile derivata dal fatto che entrambe hanno perso l’uomo amato. Penso anche che Margherita anziché sopravvivere a Martin sarebbe stata disposta anche a vederlo felice con un’altra donna.

Pietro Marcello fa un cinema della memoria, fotografando l’innocenza perduta del nostro paese e, in particolare, la bellezza del paesaggio italiano. Uno scenario, questo, a cui Margherita – per il suo rifarsi a certi modelli cinematografici del passato – appartiene di diritto. Prima mi parlavi di Claudia Cardinale. Lei e le sue colleghe sono state un modello d’ispirazione per la costruzione del personaggio?

Direi di no, se non, magari, a livello inconscio. Nel libro di Jack London il mio personaggio è davvero poco descritto, quindi è un ruolo che mi sono creata io con la mia immaginazione, con i racconti della mia bisnonna e grazie a Pietro. È vero che la Cardinale è un’attrice che ammiro molto, ma in me c’era la voglia di rappresentare attraverso Margherita tutte le donne siciliane che non perdono mai la loro genuinità, che continuano ad amare com’è giusto che facciano.

Nel libro conosciamo il tuo personaggio non direttamente, ma attraverso il punto di vista di Martin. Nel film, invece, Margherita esiste di per sé e questo ti dava la possibilità di elaborarlo in maniera più approfondita che nella pagina scritta.

Si, certo e a questo proposito devo dire che ad aiutarmi a rendere viva Margherita è stata la sceneggiatura meravigliosa di Maurizio Braucci. Quindi, in un certo senso, mi sono ispirata a un lavoro che in parte era stato già fatto.

Considerando che Marcello viene dal documentario, quanto ha contato la parte scritta in questo che era il suo primo lavoro di finzione?

È stata fondamentale per l’animo della scena, dopodiché con Pietro sul set  è stata una continua scoperta e sperimentazione. Spesso mi ha dato dei consigli e abbiamo parlato delle varie scene, dando vita a un vero e proprio working in progress in cui la sceneggiatura era presente come matrice da cui partire per comprendere le situazioni e da cui distaccarsi con le nostre improvvisazioni.

Questa ricerca di verità da parte del regista ha comportato il fatto di ripetere più volte la stessa scena oppure no?

In realtà no, i ciak erano pochi. Marcello ci ha lasciato liberi di interpretare il personaggio, ma con discrezione. Era chiaro che dovevano seguire le linee guida conosciute da tutti. Per quanto mi riguarda, dopo aver capito il linguaggio del regista bastava uno sguardo per conoscere cosa dovevo fare.

Proviamo a definirlo questo linguaggio.

Marcello si nutre tantissimo di musica e di immagini e riesce a farti vedere la realtà con poche parole e, per esempio, utilizzando i quadri. Per lui credo che tutti noi fossimo una composizione pittorica quindi, tornando alla fisicità di cui tu mi parlavi, lui mi ha reso consapevole della mia cosiddetta “antichità”, nel senso che è raro trovare un’attrice siciliana con la pelle chiara e i colori degli occhi e dei capelli molto scuri.

Mi ero segnato, infatti, che il viso e l’incarnato ti dava la possibilità di essere al tempo stesso antica e moderna, alternativamente nel passato e nel presente.

Essere accostata al passato è una cosa che mi piace molto perché mia nonna mi dice che io sarei dovuta nascere in un’altra epoca, che non sono una ragazza moderna, nel senso che mi piace divertirmi, ma senza uscire spesso a bere o a fare festa. Ascolto spesso la musica classica, la lirica, oppure guardo il cinema classico, dunque fare un film in pellicola è stato davvero un regalo da parte di Pietro.

Parlando del tuo lavoro con Luca Marinelli, volevo chiederti se in qualche modo l’ammirazione verso di lui l’hai travasata in quella che Margherita nutre nei confronti di Martin Eden.

No. Io ammiro tantissimo il curriculum di Luca, ho visto tutti i suoi film e lo considero un fuoriclasse, tanto che quando ho scoperto che sarebbe stato lui a interpretare il protagonista devo dirti che più che emozionata ero un po’ spaventata. Quando l’ho incontrato, l’umanità e la generosità che mi ha dimostrato hanno eliminato in me qualsiasi titubanza. Dunque, è stato come incontrare uno sconosciuto e non Luca Marinelli. Tra l’altro, penso che se lui avesse percepito anche solo per un momento un atteggiamento da fan e non da attrice, penso che ne sarebbe rimasto anche un po’ infastidito.

Anche a te chiedo quali sono i film e gli attori che prediligi.

Intanto, sono un’ammiratrice di Bertolucci e poi di Woody Allen, di cui ho amato molto Vicky, Cristina, Barcellona, in cui ci sono due dei miei idoli e cioè Javier Bardem e Penelope Cruz. Forse non è un caso che uno dei miei sogni è lavorare in film di lingua spagnola che studio da quando avevo tredici anni.

Tra l’altro, ho letto che stai girando il nuovo film di Ficarra e Picone.

Si, ho da poco finito le riprese e devo dirti che anche lì non mi vedrai molto moderna (ride, ndr). Ci risentiremo e mi dirai che avevi ragione tu.

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