“Cento giorni a Palermo” è un film del 1984 diretto da Giuseppe Ferrara, interpretato da Lino Ventura e Giuliana De Sio. La pellicola narra le vicende accadute nei 100 giorni passati nel capoluogo siciliano dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Nello stesso film l’attore Adalberto Maria Merli appare sia come attore che come doppiatore del protagonista Lino Ventura, quest’ultimo al suo penultimo film. Si tratta invece dell’ultimo film di Stefano Satta Flores, che morì l’anno dopo per leucemia. Con Lino Ventura, Giuliana De Sio, Stefano Satta Flores, Arnoldo Foà, Andrea Aureli.
Sinossi
Dopo le uccisioni, da parte della mafia, dell’ispettore Giuliano, di Pier Santi Mattarella e di Pio La Torre, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa è nominato prefetto di Palermo, senza però che gli vengano concessi i poteri che egli ritiene indispensabili per sconfiggere la mafia, potente anche a Roma, fino a bloccare le leggi che l’avverserebbero. Il 3 settembre 1982 Dalla Chiesa e sua moglie Emanuela vengono assassinati con l’agente di scorta.
In questo capitolo della sua personale narrazione della recente storia italiana, Giuseppe Ferrara affronta la tragedia del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, nominato prefetto di Palermo, dopo aver descritto con didascalica potenza gli omicidi eccellenti che hanno condotto la Sicilia in un terribile stato di guerra permanente ed impari (Boris Giuliano, Cesare Terranova e Lenin Mancuso, Piersanti Mattarella, Gaetano Costa, Pio La Torre). Ad impersonare l’anziano militare chiamato dal ministro Rognoni (Arnoldo Foà) a rappresentare lo Stato (assente, latitante) per cento, difficilissimi giorni c’è Lino Ventura in una delle sue poche interpretazioni non francesi: finissimo e sofferto, è doppiato dal bravo Adalberto Maria Merli (che recita nel film nei panni di un mafioso senza nome). Ad ogni buon conto il film è didascalico, schematico, in un certo senso prevedibile, recitato alla grossa da molti comprimari (anche se Ventura e Giuliana De Sio meritano i soliti elogi); ma, senza dubbio, utilissimo. Infatti, narra di un soggetto importante, osceno, potentissimo nella sua influenza su politica ed economia, e lo fa con lodevolissimo realismo. Soprattutto passa il messaggio di fondo: lo stato non ha mai voluto combattere la mafia che serve per i voti del sud, quel quarto almeno di Italia senza la cui pioggia di voti non si può formare un governo, a livello locale e nazionale; senza i cui voti non si possono gestire tutti quegli immensi soldi che passano attraverso lo stato. Il film lo mostra: lo stato deve far finta di combattere la mafia, ma deve togliere ogni efficacia a chi la combatte.