“Each man kills the thing he loves”, cantava Jeanne Moreau in Querelle de Brest, ultimo film di Rainer Werner Fassbinder. Un verso che si potrebbe accompagnare benissimo anche alle immagini di El principe, opera prima del cileno Sebastian Muñoz presentata alla Settimana Internazionale della Critica di Venezia 76. D’altronde, in questa storia maledetta di sesso, violenza e prevaricazione tra le mura di un carcere cileno dei primi anni settanta, pare proprio il fantasma di Jean Genet ad abitare ogni inquadratura, ogni volto e ogni corpo che affollano quel luogo sordido e degradato. È un mondo dominato dalla violenza e dalla passione, del resto, quello in cui si ritrova il ventenne Jaime (Juan Carlos Maldonado), ben presto soprannominato Principe dal suo protettore/amante/mentore (un Alfredo Castro sempre perfetto), due aspetti che paiono quasi inscindibili e attraverso cui si giocano tutte le dinamiche di potere presenti al suo interno, tra rivalità, vecchi rancori e un affetto primitivo e animalesco.
È proprio qui, dove sono i corpi (spesso nudi e sezionati in infiniti dettagli dalla macchina da presa) a farsi veri protagonisti, che Muñoz mette in scena la difficile educazione sentimentale del giovane Jaime, un viaggio di formazione alla scoperta della propria sessualità che parte dal sangue (i flashback prima dell’arresto) e finisce con il fare proprie le dinamiche di un mondo nato dalla violenza e dalla sopraffazione, dove il desiderio di possessione diventa l’unico sentimento possibile, mentre vendetta si somma a vendetta e l’amore non diviene altro che lo sbiadito e distorto riflesso di se stesso, un’altra faccia del potere.
Forte di una cura formale rigorosa ed evocativa, dove la bellezza dei corpi contrasta e spicca sull’ambiente degradato dello sfondo, in un trionfo visivo mai fine a se stesso ma sempre funzionale alla vicenda trattata, El principe non fa così che confermare il valore di un cinema, quello cileno degli ultimi anni, sempre attento a temi e dinamiche solo apparentemente sotterranee, solo apparentemente lontane da una Storia e da un presente con cui invece continua a dialogare. Anche attraverso le sbarre di una prigione, tra criminali pazzi d’amore.