Film di apertura della 76esima Mostra del Cinema di Venezia, La Vérité vede il ritorno alla regia di Kore-eda Hirokazu, dopo aver vinto la Palma d’Oro nel 2018 a Cannes con Un affare di famiglia. La storia è molto semplice: Fabienne (Catherine Deneuve) sta per pubblicare un libro di memorie e, per l’occasione, vanno a trovarla la figlia Lumir (Juliette Binoche) con la “famigliola”.
Il film, prima incursione del cineasta giapponese al di fuori dei suoi confini, pare sia tratto da un suo testo per il teatro mai portato in scena e infatti l’ambientazione, per lo più all’interno di una casa o sul set di un film di fantascienza, si presterebbe abbondantemente al palcoscenico, permettendo di esplorare in maniera più consona le tematiche familiari. Il rapporto tra madre e figlia, vero e proprio fulcro della vicenda, viene elaborato su un doppio binario, sebbene sia quello tra Lumir e Fabienne a prevalere: vittime della perdita di una persona amata, entrambe hanno convissuto con il dolore conseguente ad essa, seppur interiorizzato ciascuna a modo suo. Da qui emergono le personalità delle due donne, l’una affettuosa e paziente, l’altra egoriferita e glaciale, almeno inizialmente. Un percorso di riscoperta le porta pian piano ad aprirsi a vicenda, a comprendersi come non erano mai riuscite prima, ad abbandonarsi a quell’amore che è insito nel legame tra una madre e la sua stessa figlia.
Brave e giuste per il ruolo, la Deneuve e la Binoche si passano il testimone con una fluidità che diverte e rende il tutto più dinamico. Allo stesso tempo, a un particolarmente affascinante Ethan Hawke viene affidato il compito di osservatore esterno, ma anche di filtro attraverso cui Lumir riesce ad avvicinarsi alla genitrice mettendo da parte la sua resistenza. Molto interessante il parallelismo tra la trama del film che sta girando Fabienne e la sua esperienza personale che le dà modo di esorcizzare quanto accaduto in passato, mettendo in scena una gamma di emozioni pressoché inespresse prima. La Vérité risulta infine una buona commedia alla francese, brillantemente scritta e interpretata, con l’unica pecca, forse, che dietro la macchina da presa si trova un Autore che aveva abituato a opere di ben altra fattura.