Giovanissimo cineasta filippino, che si è formato alla scuola del suo connazionale Brillante Mendoza, suo mentore e produttore, Raymund Ribay Gutierrez a soli ventisei anni approda alla Mostra del Cinema di Venezia, nella sezione Orizzonti, con Verdict, primo lungometraggio e terzo film, dopo i due cortometraggi Imago e Judgement con cui ha concorso per due anni di seguito alla Palme D’Or Short Films Competition a Cannes.
Film estremamente rappresentativo per la sezione Orizzonti, dedicata alle nuove tendenze estetiche ed espressive del cinema mondiale, Verdict vi concorre per il miglior film, la miglior regia e il Premio Speciale della Giuria.
Forte della sua collaborazione con Brillante Mendoza, regista filippino di fama internazionale, da sempre vicino ai temi di giustizia sociale, il giovane Ribay Gutierrez si concentra molto sulla narrazione, stando attento a non mettere troppa carne al fuoco: come aveva dichiarato in un’intervista in occasione dell’uscita del suo secondo cortometraggio, a volte ci sono troppe questioni che un regista vorrebbe raccontare ed è difficile metterle insieme. “Devi essere semplice in quello che vuoi dire e andare dritto al punto.”
Ed è esattamente quello che fa in Verdict, film dal forte realismo sociale, girato con stile documentaristico, che si sofferma sui particolari del quotidiano, le persone al mercato, le aule di tribunale, i pasti consumati velocemente, una società, quella filippina, in continuo e frastornante cambiamento, alle prese con più lingue, il Tagalog, una delle più diffuse, lo spagnolo degli antichi colonizzatori e l’inglese ormai diventato lingua ufficiale delle istituzioni, che taglia fuori chi non è al passo.
Se in Imago, Ribay Gutierrez raccontava la storia di una donna che inseguiva le ambulanze per poi segnalare i cadaveri alle pompe funebri, Verdict riprende invece il tema della violenza sulle donne, già trattato in Judgement, e di scottante attualità: sono in molte a subire abusi e prevaricazioni dai mariti, ma sono in poche a denunciare, e quelle che lo fanno, come la protagonista del film in mostra a Venezia, vengono inghiottite da una spirale burocratica che si rivela ben più dolorosa e prevaricatrice della violenza realmente subita.
Joy, la protagonista di Verdict, stanca della violenza domestica a cui il marito Dante, un poco di buono molto spesso ubriaco, la sottopone, dopo l’ennesima vessazione subita, durante la quale anche la vita della figlioletta Angel è stata messa in pericolo, decide di rivolgersi alla polizia e portarlo in tribunale. La difesa dell’uomo, profumatamente pagata dalla madre di Dante, sorella del capitano della polizia, riesce a produrre prove in favore del rilascio di Dante; anche Joy, dal canto suo, assistita da un procuratore generale donna, lotterà fino alla fine per ottenere giustizia.
L’evoluzione della storia, dalla trama molto semplice e lineare, coinvolge lo spettatore nel dramma di Joy: nonostante conosciamo da spettatori le ragioni che l’hanno spinta a ferire il marito, non possiamo fare a meno di provare quel senso di mancanza di tutela di fronte ad una burocrazia complessa, a testimoni impauriti, e alla mancanza di scrupoli di uomini come Dante, ma soprattutto ad una mentalità maschilista ancora troppo radicata, anche nelle coscienze di chi dovrebbe disporre di un pensiero critico (come il giudice a cui spetta la decisione finale).
Le figure femminili spiccano particolarmente in Verdict: merito anche del forte legame che il regista afferma di avere da sempre con sua madre e le sue due sorelle, Ribay Gutierrez fa girare intorno al violento e indolente Dante un universo femminile che invece ogni giorno si muove e si dà da fare per migliorare la propria vita o quelle di chi gli è accanto.
La moglie di Dante, Joy sembra remissiva, ma in realtà possiede una determinazione forte anche del sostegno di suo padre e di sua madre; la piccola Angel è il simbolo della futura generazione di donne, con la speranza che non debbano più patire i soprusi riservati alle loro madri e alle loro nonne; la madre di Dante, forte e combattiva, seppur pubblicamente dalla parte del figlio, gli rimprovera senza troppi sconti che è un poco di buono che combina solo guai.
Eppure sono proprio le donne come lei, che seppur riconoscendo il torto commesso dagli uomini, fanno di tutto per insabbiare le loro cattive azioni andando contro le altre donne e facendo in modo che le cose non cambino, forse perché custodi di un patriarcato dove, nonostante tutto, si sentono tutelate.