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Il Regno: politica e corruzione in una storia esemplare nella Spagna di inizio millennio

Il regista spagnolo Rodrigo Sorogoyen mette in scena la lotta per la sopravvivenza di un politico corrotto in un thriller tesissimo e opprimente. Atto di accusa contro una classe dirigente e un intero modo di fare politica

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Si è mai fermato per un momento, nella sua vita, a pensare a cosa stava facendo?” chiede, alla fine de Il Regno, una giornalista a Manuel López-Vidal, politico locale in ascesa travolto da uno scandalo di corruzione di portata inimmaginabile. Sta tutto qua, in fondo, il senso del film dello spagnolo Rodrigo Sorogoyen (un successo in patria, con 13 candidature e 7 Goya vinti), in una domanda capace di inchiodare il suo protagonista alle proprie colpe e responsabilità, a una realtà dove il comportamento criminoso viaggia di pari passo con la politica, o, peggio, ne è parte integrante e inscindibile.

Ecco perché, nella  parabola discendente di Manuel (un Antonio de la Torre perfetto nell’impersonare un piccolo uomo in preda alle sue manie di grandezza), nelle motivazioni che lo muovono e nella sua smania di vendetta contro quel sistema che, dopo averlo fagocitato, lo ha sputato e abbandonato a se stesso, non c’è il minimo senso di giustizia, nessuna parvenza di morale che vada al di là del puro spirito di conservazione, di un disperato e animalesco attaccamento ai propri interessi e privilegi. Non è certo un caso, d’altronde, che il film sia ambientato nel 2007, cioè in prossimità della fine di un’era, quella della pre-crisi economica e della Casta, del pre-sovranismo e di partiti collusi e disonesti pronti a dare gli ultimi colpi di coda all’interno di un sistema che, collassando, avrebbe portato, in Spagna come altrove, alle derive populiste del presente. È proprio qui che la vicenda del protagonista acquista ulteriore valore, storia esemplare su un modo di gestire la cosa pubblica che non solo pare diventata convenzione, ma sembra essere l’unico modo possibile di fare politica. Per questo non c’è catarsi per Manuel, nessun pentimento o cambio di prospettiva, perché per lui e per i suoi colleghi di partito non esiste colpa da espiare, non esiste altro modo di sentirsi realizzati al di là delle mazzette, dell’appropriazione indebita, dello scambio di favori.

Nella sua caduta in disgrazia e nella conseguente ricerca di una verità che ha il sapore più dell’alibi che del riscatto tardivo (come fare, del resto, a denunciare un intero sistema corrotto se prima non si sono fatti i conti con la propria stessa coscienza, che con quel sistema è sempre stata connivente?), Manuel, ingranaggio di una macchina perfettamente oliata che, dopo averlo usato, lo ha trasformato in capro espiatorio, finisce così per perdersi all’interno di un intrigo ben più grande di lui, tra paranoia e segreti di stato, fino a che il tentativo di scagionarsi non si tramuta in una vera e propria lotta per la sopravvivenza. Un dramma che il regista costruisce, tra macchine da presa traballanti e un onnipresente sottofondo di musica elettronica, come un thriller tesissimo, mano a mano sempre più intriso di un senso di angoscia opprimente e di un’isteria contagiosa che ne ampliano la portata e i risvolti, fino a un finale quasi allegorico, messa in accusa di un sistema inscalfibile e di tutti quei piccoli, egoistici ingranaggi che lo compongono e che, attraverso le loro disonestà quotidiane, gli permettono di esistere. Perché i Re muoiono, ma i Regni perdurano.

  • Anno: 2018
  • Durata: 132'
  • Distribuzione: Movies Inspired
  • Genere: Drammatico, Thriller
  • Nazionalita: Spagna
  • Regia: Rodrigo Sorogoyen
  • Data di uscita: 05-September-2019

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