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Conversation

72 Locarno Film Festival: Instinct. Conversazione con la regista del film Halina Reijn (Piazza Grande)

Presentato in anteprima al 72 Locarno Film Festival e vincitore del Variety Piazza Grande Award, l'esordio alla regia di Halina Reijn, Istinct, è un film che  ragiona sui limiti del desiderio, esplorandone i suoi aspetti più intimi e contraddittori. Di seguito la conversazione con la regista olandese

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Vorrei iniziare dal titolo del film, che fa riferimento all’aggressività ferina con cui i due protagonisti reagiscono alle sollecitazioni del mondo esterno. In realtà, tale comportamento è una reazione alla mancanza d’amore sofferta da Nicoline e Idris nel corso della loro esistenza. Mi sembra che sia questo uno dei temi principali del film. 

Per me la mancanza d’amore significa parlare di confini, veri o presunti che essi siano. Specialmente per quanto riguarda la protagonista, il suo trauma nella giovinezza è forse stato quello di nascere nel periodo della rivoluzione hippy. La mia generazione, specialmente in Olanda, è stata cresciuta da persone che volevano scoprire da sole l’amore e la libertà sessuale e che per questo hanno allevato i figli come dei loro amici. Per me si è trattato di una cosa molto bella ma la conseguenza – e insieme il problema – è stato che siamo stati allevati senza saper riconoscere i confini esistenti all’interno dell’esperienza umana. Da lì, il fatto di sviluppare un senso di intimità poco sano in cui non si riesce a stare all’interno di relazioni romantiche regolari e si finisce per rimanere soli e isolati. Nicoline non permette agli uomini “per bene” di avvicinarsi a lei, come succede con Alex, il collega di lavoro che non riesce nemmeno a guardare negli occhi mentre fanno l’amore. Nicoline associa il dolore alla sessualità e all’intimità, dunque per lei questo comportamento è l’unico modo per mantenere le distanze e, in una certa maniera, per non soffrire.

A proposito di confini e della loro mancanza, c’è una scena che irrompe nel film in maniera improvvisa e inaspettata, in cui vediamo Nicoline e la madre giacere sul letto abbracciate in un modo esplicitamente sensuale. In Italia per esempio una scena del genere sarebbe impensabile, proprio per l’assoluta venerazione nei confronti della figura materna.

Sono d’accordo con te, sia sui riferimenti alla scena, sia sul fatto del rispetto nei confronti della figura materna. Purtroppo, per la protagonista si tratta di una presenza soffocante e ambigua, destinata a confonderla.

A fronte della sua linearità narrativa, il film lavora su più livelli e in uno di questi Instinct diventa la trasfigurazione dell’eterno conflitto tra Eros e Thanatos, chiamato in causa dall’ambivalente desiderio di Nicoline nei confronti di Idris. Da una parte, infatti, esso è la manifestazione del vitalismo del personaggio, dall’altra ne rappresenta il suo lato autodistruttivo. Appunto, Eros e Thanatos.

Amo la tua osservazione. Questo per me è l’essenza del film, Eros e Thanatos. Naturalmente, stiamo parlando di un aspetto molto complesso della natura umana, ancora di più oggi per i fatti che stanno accadendo. Comprenderlo e metterlo in scena è stato molto complicato anche per me. Secondo Oscar Wilde, tutto riguarda il sesso e il sesso riguarda il potere: nella confusione generale anche io come donna sto combattendo questi elementi. Voglio essere femminista, voglio essere una donna forte come lo è un uomo, ma d’altro canto dentro di me ho queste strane tendenze animali che non comprendo e che anche gli uomini hanno. La nostra sessualità a volte va completamente in contrasto con il nostro intelletto. Per questo motivo ho deciso intitolare il film Instinct, perché per me tutto si basa su questo. Siamo realmente civilizzati o la componente animale è destinata a prendere il sopravvento? Osservare il modo in cui mangiamo e la maniera in cui guardiamo il cellulare mi fa propendere per la seconda ipotesi.

Infatti, penso che rispetto alle istanze nate sulla scia del #metoo il tuo film proponga un modello femminile complesso, nel quale la rivincita nei confronti dell’uomo non riesce a rendere Nicoline più felice.

Infatti. Lei non è felice e neanche innocente. Al termine del film non può non farsi la domanda su chi dei due protagonisti sia più colpevole. Idris ha un problema mentale accertato e riconosciuto da tutti, ma questo non dovrebbe autorizzare lei a superare il confine del suo desiderio per lui. È veramente difficile dire chi dei due sia manchevole in questa storia e poi noi non vogliamo realmente rispondere a questa domanda. Neanche io. Pur se femminista, credo che l’arte debba sempre cercare la zona grigia, il lato oscuro delle cose senza prendere posizione contro uno o l’altro, perché non succede mai che uno sia solo vittima o solo colpevole. Non è mai così.

Presenti due personaggi molto intelligenti e in grado di dominare la realtà, che però reagiscono alla paura e alle sollecitazioni sessuali perdendo il controllo e lasciando spazio al caos. Sei molto brava nel catturare l’istante in cui i protagonisti da manipolati diventano manipolatori.

Hai colto nel segno! Entrambi sono manipolatori, in un certo senso. La prima cosa che pensiamo è che lei sia innocente e lui colpevole, perché lui è in prigione e lei no. Ma la casa dove vive Nicoline è come se lo fosse, dunque sono molto simili. Anche se lei è una donna istruita e lui no, hanno le stesse ferite, sono “danneggiati” allo stesso modo ed è per questo che sono pericolosi l’una per l’altro. All’inizio no, perché lui non è interessato a lei, poi, nel momento che iniziano ad aprirsi un po di più, le loro ferite riemergono. Se nella vita incontri qualcuno che fa riaffiorare i tuoi traumi è molto pericoloso, perché il rischio è di rimanerne entrambi vittime, come succede a Idris e Nicoline. Loro non vogliono che questo accada perché lui desidera uscire di prigione e lei non vuole tornarci. Nicoline sa di dover trovare un altro lavoro perché quello che fa è diventato pericoloso. Ciò che hai detto nella domanda è molto interessante perché coglie il punto della questione. È come ballare un tango in cui innocenza e colpevolezza si alternano nella conduzione dei passi. Alcune persone magari la possono trovare una dinamica un po’ noiosa, ma per me è molto importante.

È la vita, la natura umana.

Esatto! Esatto!

In Instinct utilizzi le immagini in maniera classica, mettendole a disposizione del testo e delle sua chiarificazione. Talvolta, questo non succede perché le informazioni sono contraddittorie e sembrano giocare con lo spettatore, confondendone il giudizio. Pensiamo alla fisicità dei personaggi, lui alto e muscoloso, lei minuta e nervosa. Ancora prima che inizino a parlare nessuno può avere dubbi su chi sia il cacciatore e chi la preda. Eppure…

Esatto. È divertente che te ne sia accorto. Penso che tutto questo sia come un gioco, non nel senso letterale della parola, ovviamente. Il comportamento animalesco e la dialettica preda – cacciatore, sono argomenti che mi piacciono. Pensa a quando alla fine del film lui guarda in camera e sembra dire: “Non è un dramma sociale, non ho nulla in comune con gli altri prigionieri. Guardateci, siamo solo io e Nicoline, siamo come animali”. Non c’è niente da fare, possiamo essere intellettuali quanto vogliamo ma fondamentalmente siamo animali.

Esemplificativo di quanto ti domandavo sopra è anche la scena introduttiva. Alla pari di quelle che forniscono informazioni sulla reale natura dei personaggi, essa si inserisce come semplice raccordo narrativo, lasciando intendere di non dire nulla di importante, mentre invece è rivelatrice delle manipolazioni messe in atto dalla protagonista, di come si serva degli uomini, di come sia in grado di “recitare” una parte.

Si, è così. Far vedere lei assieme agli altri agenti mentre si allena è quasi come mettere in scena una sexual gangbang, con lei “ragazzina” sovrastata da queste grandi figure maschili. Nella scena di cui parli c’è tutto il film. Lei sembra dominata da loro, ma poi le parti si invertono e succede il contrario. Attraverso quella scena è come se avessi già fatto vedere il film prima che cominci.

Prima di parlare del tuo lavoro con gli attori, volevo soffermarmi per un momento sul personaggio di Nicoline. Penso che la sua femminilità si rifaccia alla grande tradizione del cinema olandese e, in particolare, a quella delle eroine create da Paul Verhoeven. Il mix di fragilità e determinazione ne fanno una figura tipica delle sue storie.

Si. Verhoeven mi ha davvero influenzato, è stato una guida e un mentore. Tutti i suoi film sono stati per me molto importanti, e hai ragione sul fatto di come lui intenda la femminilità, perché le sue donne sono forti ma non per questo meno femminili. Ci ha sempre sostenuto, soprattutto all’inizio della carriera, quando sognavamo di diventare registi. Lui mi ha sempre aiutato nel capire cosa stava facendo. Mentre girava guardavo i monitor con lui e mi sentivo come una bambina, pronta a seguirlo ovunque fosse andato. È stato come un padre per me.

Io vengo dal teatro e questo per me ha contato parecchio. Essendo stata un regista teatrale, nel cinema amo impostare le scene come se mi trovassi sul palco. Affronto il mio lavoro con questa prospettiva. È tutto nella mia testa, come fosse un rituale. E poi cerco di girare nella maniera più naturale possibile

Nella direzione degli attori ho notato che la gestualità e il linguaggio del corpo svolgono il ruolo preminente nella definizione dei personaggi. Mi piacerebbe sapere qualcosa di più su questo aspetto.

Sei stato molto acuto nell’analizzare il film. In questo caso hai colto ciò che ritenevo importante nel film (ride, ndr). Come ti dicevo vengo dal teatro, dunque per me sul palco non ci deve essere un attore ma un interprete, un performer, del tipo di quelli che c’erano negli anni Settanta. Io lavoro in questo modo e cioè in modo assolutamente realistico. Se interpreti uno psicopatico non devi essere super “tecnico”, come lo è stato Jack Nicholson in Shining, ma reale, vero. Ed è così che ho voluto Marwan Kenzari: il suo corpo è ovviamente molto mascolino, capace di parlare in maniera esplicita sia alle donne, sia agli uomini; io lo guardavo e gli chiedevo di non recitare ma di essere, dando un significato a ogni parola che diceva. Lui è cosi puro e per questo cosi ambiguo. Carice van Houten,  invece, è il mio idolo, per cui lavorare con lei è stato il massimo. Lei riesce a incanalare tutte queste energie e semplicemente a essere. È sempre vera. Capita che dopo una scena di violenza sia previsto che pianga e le sue lacrime sono reali, puro materiale da documentario. Ci fa essere lì con lei. Quando le ho le ho chiesto di rifarlo, lei si è prestata nonostante per attori come lei non sia facile immergersi di nuovo in un’esperienza del genere. La gente può dire che questo è il suo lavoro, ma lei ci mette sempre un po’ di se stessa e la performance che ne viene fuori è complessa e allo stesso tempo vulnerabile. In questo film Carice ha messo i suoi sentimenti più imbarazzanti. Il linguaggio del corpo diventa dunque fondamentale, perché è quello che deve trasmettere la nostra animalità. A tal proposito, si potrebbe dire che Istinct è una sorta di progetto biologico Dopodiché, considera la messa in scena: ci sono donne in piedi intente a fumare o a guardare gli uomini, nessun nudo femminile solo nudi maschili. Questo è il mio film!

Parlando dei riferimenti alla fauna animale, il tipo di recitazione mi ricorda quella degli attori della New Hollywood. Molti di loro per le movenze dei personaggi si rifacevano a precise specie animali. Pensa al Dustin Hoffman di Un uomo da marciapiede la cui gestualità è ispirata a quella di un topo. I tuoi attori sembrano applicare lo stesso metodo.

Si. Quando, nell’ultima scena, lei entra nella stanza di Idris, lui la guarda con uno sguardo da autentico animale. Gli ho detto: “Sei un animale, sei un lupo”; allora lui la annusa e sente il suo odore e così fa lei. La recitazione è puramente animale e non intellettuale. Devono essere puri animali. È orribile da dire ma è così.

  • Anno: 2019
  • Durata: 98'
  • Genere: Drammatico
  • Nazionalita: Nuova Zelanda
  • Regia: Halina Reijn