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‘L’apprendistato’ di Davide Maldi mette in scena il passaggio all’età adulta di un ragazzo in una scuola alberghiera

L’apprendistato di Davide Maldi, presentato presentato nella sezione TFFDOC/Italiana del 37 Torino Film Festival, mette in scena la quotidianità di Luca come studente in una scuola alberghiera, tra rito di passaggio e accettazione delle regole sociali. In sala

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L’apprendistato di Davide Maldi, presentato nella sezione TFFDOC/Italiana del 37 Torino Film Festival, mette in scena la quotidianità di Luca come studente in una scuola alberghiera, tra rito di passaggio e accettazione delle regole sociali. Il Film è ora in Sala.

L’incipit è notturno, in esterni, mentre vediamo il ragazzo che si aggira in montagna tra stalle e casolari. Si viene a conoscenza, nello svolgersi della narrazione, che proviene da una famiglia contadina e che ha passato l’infanzia a occuparsi a mungere mucche e capre nei poderi. L’arrivo presso una scuola esclusiva per imparare il mestiere di cameriere per Luca è un difficile adattamento a una vita completamente diversa rispetto a quella che aveva condotto fino a quel momento: relazionarsi con altri ragazzi e con gli adulti della scuola, con la gente che non “gli piace”, come afferma interrogato da un insegnante.

Il tema principale di L’apprendistato può essere visto come doppia metafora: da un lato, il passaggio da una vita “primitiva” regolata dai ritmi della campagna e delle natura a quella della città, di una civiltà industriale e capitalista; dall’altro, l’apprendimento di ferrei dettami che danno un senso al proprio essere cittadino del mondo, all’interno di una società civile in cui le leggi – e la loro osservanza – determinano il ruolo di ogni individuo e la posizione in una comunità.

Maldi utilizza in modo espressionistico la luce, con la predominanza dell’oscurità delle poche scene in esterno per trasmettere una certa anarchia libertaria del mondo di provenienza di Luca, mentre subentrano colori chiari e tenui nel mondo ovattato della scuola, in cui il ragazzo si trova a disagio fin da subito, recalcitrante all’educazione impartita dagli insegnanti. Si assiste in modo pedissequo alle lezioni tra preparazioni delle tavole con il posizionamento di tovaglie, piatti, bicchieri, posate, con l’occhio della cinepresa che segue in modo quasi documentaristico l’insegnamento del mestiere a cui Luca è stato destinato dalla famiglia. Così, tra una preparazione di un cocktail, le pulizie della cucina e della sala da pranzo, il portamento e il porgere le pietanze, assistiamo alla lenta – anche se riottosa – trasformazione di Luca in un adulto che si accinge a diventare un perfetto cameriere.

Anche se L’apprendistato sembra essere debitore a un certo cinema sociale italiano iperrealista (pensiamo a Ermanno Olmi di Il Posto, oppure a Lunga vita alla signora!), attraverso una scrittura lineare, però resta ondivago nella messa in scena tra l’apprendimento di regole per un ragazzo abituato a vivere secondo i suoi istinti e abitudini, che in qualche modo ne determinano la maturità, e la creazione del perfetto cittadino di una società in cui i ruoli sono predeterminati e la scala sociale è bloccata, dove ci sono camerieri che devono “servire i clienti”. Abbiamo dei momenti topici per questo in L’apprendistato. Uno di questi è la lunga sequenza quando la classe di Luca va in gita scolastica presso una lussuosa nave da crociera, in cui non si fa che decantare la bellezza delle cabine e del servizio e quanto sia nobile e difficile “servire” il cliente sempre con il sorriso. La rappresentazione di un mondo di ricchi privilegiati che i ragazzi possono osservare solo in veste di servitori, e quindi in un modo del tutto utilitaristico. Il secondo momento è quando, all’ennesimo rimprovero a Luca, la macchina da presa si avvicina sempre più a lui, fino a un primissimo piano, e in montaggio alternato sono affiancate inquadrature di dettaglio di animali impagliati che sono esposti nelle bacheche della scuola: una metafora esplicita – e abbastanza pacchiana – del parallelismo tra l’individuo visto come orpello in mostra, impagliato per bellezza, trasformato in una sorta di zombi.

Del resto, nella scena finale di L’apprendistato appare sconvolgente la regola che i ragazzi devono recitare in coro prima del servizio a un banchetto: ripetono con una sola voce che servire è un piacere-dovere, che non devono avere nessuna opinione politica o religiosa che possa imbarazzare il commensale, che se il cliente sbaglia non lo si deve far notare in alcun modo e che comunque bisogna sempre sorridere. Una sorta di “preghiera” laica e blasfema per il perfetto cittadino contemporaneo che deve tacere, ubbidire, servire, senza scomporsi, senza idee, senza opinioni, senza proteste (e ci appare un desiderio di molti – troppi – potenti passati, presenti e futuri).

Proprio la chiusa con questa scena accerta un’ambiguità di fondo di L’apprendistato che non si sbilancia mai in una condanna esplicita di determinati comportamenti e che sembra quasi compiacersi, come se si assistesse all’educazione di un ribelle da correggere. L’assuefazione di Luca, fino ad abbracciare completamente il credo che gli viene imposto, appare quantomai un ambiguo comportamento determinato da uno sguardo del regista ambivalente, che dà adito a fraintendimenti sulla vera natura del punto di vista che la pellicola vuole mostrare.

Qui l’intervista al regista

  • Anno: 2019
  • Durata: 84'
  • Genere: Drammatico
  • Nazionalita: Italia
  • Regia: Davide Maldi

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