La recensione di Nimic di Yorgos Lanthimos, disponibile su Disney+e al cinema dal 28 marzo distribuito da Trent Film.
Nimic di Yorgos Lanthimos
All’inizio della sua brillante carriera Yorgos Lanthimos aveva scelto il genere del film breve. Poi ha inanellato una serie di spiazzanti lungometraggi, facendosi portare al successo internazionale dai provocatori The lobster e Il sacrificio del cervo sacro. Ora, dopo aver incamerato i due Oscar vinti da La Favorita, sceglie di tornare al cortometraggio con Nimic.
Lo scrive in compagnia del greco Efthymis Filippou, storico collaboratore e suo connazionale. Ma gira di nuovo in lingua inglese e continua a prediligere l’ambientazione spaziosa, questa volta una moderna casa asettica, per mettere in scena l’ennesimo nucleo familiare tanto benestante quanto inquietante.
I personaggi
Quasi a replicare la formazione Colman-Stone-Weisz del precedente lavoro, anche qui ci sono tre protagonisti: lui (Matt Dillon), lei (Susan Elle) e l’altra (Daphné Patakia). Ma chi è l’intrusa, se ve n’è una, bisogna chiederlo ai bambini (i figli dei protagonisti sono anch’essi tre), salvo sentirsi rispondere che essendo bambini non possono saperlo. Lanthimos si diverte a farci entrare nel mistero, inquadrando in primo piano un elemento simbolico come l’uovo, simmetricamente cucinato all’inizio del film da Dillon e alla fine del film da Patakia, nella medesima cucina.
Ma torniamo qualche minuto indietro. Dillon ha incontrato la donna in metropolitana. Non poteva non vederla perchè gli sedeva di fronte, quasi fosse una proiezione di lui. Se non ci fosse stata, l’uomo si sarebbe riflesso nel vetro del vagone. I due si rivolgono la stessa domanda: che ora è? Eccolo il primo elemento su cui ruota questo piccolo grande film di breve durata, il tempo. Il tempo che trascende l’esperienza individuale e va avanti incurante dell’identità di un uomo o di una donna, di un uomo bianco o di un uomo di colore. Va avanti, inesorabilmente, per tutti.
La musica in Nimic di Lanthimos
Il secondo elemento importante è la musica. L’uomo suona in un’orchestra di strumenti a corda. E vengono in mente le parole di Eric Romher:
Il cinema è più vicino alla musica che alla pittura perché è fatto non di immagini ma di inquadrature dove dentro scorre il tempo come nella musica.
Il protagonista, e il regista stesso, riflettono sul tempo e sulla musica, sull’esperienza umana e su quella cinematografica. L’inizio e la fine di Nimic, che in rumeno significa “niente”, sono uguali, come a definire un loop entro cui le vicende si ripetono (o si moltiplicano, ci piace pensare, tendendo all’infinito).
La scena più spiazzante del cortometraggio mostra Dillon e Patakia che infilano nello stesso buco della serratura ciascuno la propria chiave di casa. Ma la chiave di interpretazione di questo film non è affatto univoca e Lanthimos offre agli spettatori il piacere di elaborare le più svariate soluzioni interpretative, dal triangolo amoroso alla reminiscenza del già vissuto, dalla proiezione onirica alla progressione di una psicopatologia. È questo il bello: la sconfinata libertà che il suo genio riesce a far penetrare attraverso lo spioncino della serratura. Un vero e proprio omaggio al genere del cortometraggio.