Presentato fuori concorso al 72° Locarno Film Festival, Giraffe, secondo lungometraggio di Anna Sofie Hartmann, mette in scena le trasformazioni di un territorio durante la costruzione di un tunnel tra la Danimarca e la Germania. L’etnologa Dara passa l’estate a raccogliere documenti e reperti delle case che saranno demolite per la costruzione del tunnel; il giovane operaio polacco Lucek fa parte di una delle aziende che stanno lavorando alla nuova costruzione; Kathe è una hostess che viaggia su un traghetto che collega le varie sponde dell’arcipelago. I tre personaggi s’incontrano durante queste giornate e i loro rapporti sono l’asse portante della narrazione.
La giovane regista danese si concentra in particolare su Dara, sul suo lavoro di ricerca e documentazione, mettendo in evidenza la conservazione della memoria, del passato di famiglie costrette ad abbandonare la propria casa oppure a ricostruire la storia di altre dimore abbandonate. Dara s’imbatte in modo casuale con Lucek con cui intreccia un amore estivo, fatto di momenti di tenerezza e di scambi tra due persone appartenenti a mondi così lontani che il contatto fisico ed emotivo avvicina, anche se per un breve e fugace periodo.
Giraffe appare come un quadro impressionista, dove il paesaggio ha altrettanta importanza dei destini degli esseri umani: le inquadrature in campi lunghi di strade, prati, spiagge e del mare donano il sentore di un tempo eterno del territorio in continua mutazione in cui le vite di tutti sono solo un giorno di immanenza destinato a ridursi a pochi reperti di un’archeologia del presente. In questo caso, Dara diventa l’alter ego della regista cercando di conservare un passato prima che sia spazzato via dal futuro della società in movimento. Inserendo fotografie di oggetti comuni e dei cimeli familiari e innestando video amatoriali, l’autrice compie una mappa sentimentale che viene rivissuta dalla storia d’amore tra i due protagonisti.
La Hartmann muove la macchina da presa in modo minimale, preferendo la profondità di campo sia in interni sia negli esterni, racchiudendo nella forma dell’immagine i sommovimenti dell’anima e del cuore dei personaggi. La fotografia rimanda la limpidezza delle immagini, la luce del giorno sui prati e sugli alberi, le cui chiome si muovono al vento, mette in evidenza la vitalità del mondo naturale. Così come i notturni donano un senso di solitudine e di estraneità alle vicende della varia umanità, la cui voce è registrata come in un diario di un lontano passato. Del resto, nella prima scena sono inquadrate delle giraffe che sono la principale metafora del film. Questi animali sono il risultato dell’evoluzione darwiniana ai cambiamenti naturali, nel momento in cui l’allungamento del loro collo lo si è avuto per sopravvivere e trovare cibo tra gli alberi più alti. Ecco che allora Giraffe non è altro che la rappresentazione della volontà di sopravvivenza dell’essere umano di fronte ai cambiamenti sociali e ambientali: sia che si tratti di adattarsi a un nuovo futuro, sia che si lasci alle spalle un amore intenso, ma passeggero, per andare alla ricerca di nuovi incontri.
Prodotto dalla Koplizen Film, il trio di produttori tedeschi insigniti del premio Raimondo Rezzonico a Locarno, e di cui fa parte Maren Ade (autrice del fortunato Vi presento Toni Erdmann), Giraffe è un’opera a tratti leziosa e un po’ compiacente, ma che riesce a rendere la malinconia di un mondo perduto in un eterno divenire contrapponendo la naturalità dell’immagine con la levità dei sentimenti umani.