Lettera da una sconosciuta è un film melò del 1948, diretto da Max Ophüls, tratto dal racconto Lettera di una sconosciuta (Brief einer Unbekannten) di Stefan Zweig. Nel 1992 è stato scelto per la conservazione nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti. Il film fu prodotto dalla Rampart Productions (con il nome A Rampart Production) e distribuito dalla Universal Pictures. Venne presentato in prima a New York il 28 Aprile 1948. Con Joan Fontaine, Louis Jourdan, Mady Christians, Marcel Journet, Art Smith.
Sinossi
Una donna s’innamora di un pianista, suo vicino di casa. L’uomo, però, la ignora. Anni dopo il musicista incontra la ragazza senza riconoscerla. Questa volta le cose vanno meglio e tra i due scoppia finalmente l’amore. Nonostante la nascita di un figlio, la donna finisce per sposare un ricco aristocratico. Ma un giorno il suo vecchio amore si rifà vivo.
Tratto dall’omonimo racconto di Stefan Zweig (1922), Lettera da una sconosciuta è uno dei più grandi melodrammi e in assoluto uno dei massimi capolavori del cinema classico, quello dominato dalle major di Hollywood. Fu proprio una di queste, la Universal, a distribuire il secondo film del periodo americano – dopo Re in esilio (1947) – di Max Oppenheimer, meglio noto con lo pseudonimo di Max Ophüls, tedesco di nascita, francese d’adozione sin da prima della Seconda guerra mondiale, quando fece sparire anche l’umlaut dal suo cognome, che negli Stati Uniti perse anche la h, perché troppo vicino all’aggettivo awful (orribile). La storia, ambientata nella Vienna di inizio Novecento, è quella dell’impossibile amore tra Lisa (Joan Fontaine) e il pianista Stefan Brand (Louis Jourdan), narrata attraverso una lettera appena recapitata a quest’ultimo. Il film è strutturato come un lungo flashback, a cui il montaggio alterna alcuni momenti nel presente, nei quali vediamo Stefan leggere la lettera, mentre sta preparando la fuga dalla città austriaca, poiché sfidato a duello l’indomani mattina, ma come sintetizza al suo maggiordomo, “l’onore è un lusso che solo i gentiluomini possono permettersi“. Le vicende sono raccontate dalla voce off di Lisa, che parla a Stefan attraverso la lettera, raccontandogli una vita di completa devozione nei suoi confronti sin da quando, ancora adolescente, lo vide traslocare con il suo pianoforte in un appartamento del palazzo in cui lei abitava con la madre vedova. Si susseguono così tutti i momenti della vita della sognante Lisa vissuti in funzione di Stefan, un amore solipsistico che non prevede nemmeno che l’oggetto dei suoi sentimenti ne sappia alcunché, finché un giorno le loro vite si incontreranno. Una trama indubbiamente melodrammatica che, però, Ophuls riesce a trasformare in un film sensazionale, attraverso una regia che, per contrasto, si presenta algida e razionale, quasi matematica. Ne sono un esempio illuminante due scene che vanno analizzate in coppia: nella prima la giovane Lisa, fuggita dal controllo della madre e del suo nuovo marito, aspetta il ritorno di Stefan per dichiarargli tutto il suo amore ma, quando lo vede rientrare in compagnia di una donna, rinuncia al suo intento; anni dopo invece sarà lei a rientrare con Stefan dallo stesso portone dopo una serata trascorsa insieme. In entrambi i casi la mdp è posizionata in alto, alla sommità delle scale, e accompagna il cammino della coppia che sale: se nel primo momento, però, lo ‘sguardo’ della mdp coincide con la soggettiva di Lisa, nel secondo diventa il mezzo per una lucida analisi della ripetitività del gesto di Stefan, cosicché attraverso di essa il pubblico conosce più di quanto il personaggio interpretato da Joan Fontaine possa ancora sapere. E c’è da dire che spesso la mdp ci offre un punto di vista privilegiato nascondendosi dietro finestre ghiacciate dal freddo viennese, tendaggi di ristoranti, ecc., che danno su interni o esterni tutti rigorosamente ricostruiti in studio, dando più che una semplice sensazione di voyeurismo che è anche impossibilità di poter intervenire a mettere in guardia l’ingenua Lisa. Ophüls, però, gira la sequenza più indimenticabile del film quando Stefan accompagna Lisa in un vagone-giostra, in cui i due trascorrono momenti romantici. In una splendida metafora visiva – peraltro con l’oggetto-treno, simbolo cinematografico par excellence, dai Lumière in poi -, i fondali che rappresentano le diverse destinazioni, Venezia, la Svizzera e ancora Venezia, costituiscono un viaggio illusorio che coincide con la vana speranza di una felice storia d’amore, almeno nelle intenzioni di Lisa. I due attori sono in uno stato di grazia: Jourdan galleggia nel totale disinteresse per tutto, persino per la sua stessa carriera che vive in modo decadentista, ma basta un suo sorriso a renderlo irresistibile, mentre Joan Fontaine, dopo i due capolavori hitchcockiani di inizio decennio – Rebecca e Il sospetto (1940 e 1941) – trova la consacrazione nell’ennesimo ruolo di donna naturalmente portata alla completa abnegazione. È difficile quantificare il ruolo che Lettera da una sconosciuta abbia rivestito per il cinema negli anni a seguire, ma bastano pochi esempi, certamente non gli unici, per capirne la portata. Il primo film che viene alla mente è il capolavoro di Carol Reed, Il terzo uomo (1949), in cui Vienna si presenta molto simile a quella della pellicola di Ophüls, nonostante sia ambientato alcuni decenni dopo, ma ritornano gli squarci dei bianchi nei saturissimi neri, nonché le lunghe ombre dei personaggi, talvolta inquadrati dall’alto. Lo dimostra la bella sequenza in cui si vede Lisa camminare di spalle illuminata da due lampioni, con un taglio diagonale che non solo ripeterà Reed poco tempo dopo, ma che farà suo anche il protagonista di quel film e mi riferisco, naturalmente, alla celebre scena dell’Othello di Orson Welles (1952) in cui Desdemona passeggia sulla piazza del Palazzo dei Congressi di Roma, che in quel caso finge Venezia, coprendo la diagonale opposta. E anche Alfred Hitchcock sembra rievocare il film di Ophuls quando Scottie-James Stewart indugia nel vedere Judy indossare diversi vestiti in una boutique di moda, come invece sicuramente in maniera più distratta fa Stefan con Lisa, che in un negozio simile lavora come mannequin. Altro splendido rimando è costituito da Adèle H (1975), non a caso film di uno degli autori più cinefili di sempre, quel François Truffaut che amava particolarmente l’opera di Ophüls tanto da inserire la pellicola nel suo libro I film della mia vita (1975) e che, nel personaggio della figlia di Victor Hugo, ha evidentemente trasposto molti comportamenti della Lisa di Joan Fontaine. Un’ultima ripresa, a tutt’altro livello, e allo stesso tempo un omaggio ad un personaggio di contorno del film, appare essere quella del marito tradito impersonato da un magnifico Ugo Tognazzi in Straziami ma di baci saziami (Risi, 1968), così vicino al maggiordomo muto di Stefan, John (Art Smith), non solo per questa caratteristica condivisa, ma anche per l’acconciatura che, riproposta negli anni ’60 e in quel contesto diventa esilarante. La lista potrebbe continuare a lungo, dato che Lettera da una sconosciuta fu amato in maniera incondizionata, proprio come Lisa fa con Stefan, da altri grandi cineasti come Kubrick o Godard, in Europa, ma anche Minnelli negli Stati Uniti, eppure agli americani la sceneggiatura gioca un brutto scherzo in una delle battute più taglienti del film, pronunciata dal cinico Stefan: “sono appena tornato dall’America. È un paese affascinante: gli uomini adorano il denaro e le loro mogli adorano gli europei”.