In The Girl with a Bracelet preferisci raccontare la storia senza far vedere il passato della vittima. In questo modo metti lo spettatore nella condizione di dipendere dal punto di vista dei personaggi di cui condividiamo non solo le conoscenze ma anche i dubbi rispetto al reale svolgimento dei fatti. In generale, l’intero film gioca – e mi viene in mente la messinscena della prima e dell’ultima scena – su questa reticenza di informazioni, lasciando il pubblico libero di farsi la propria idea.
The Girl with a Bracelet propone allo spettatore di vivere un’esperienza come quella di assistere a un processo in cui non ci sono prove evidenti. Per questo ci si forma delle intime convinzioni in base alle quali si crede o meno a ciò che dicono i personaggi. È un film in cui devi cercare di immaginare le scene di cui parlano le persone attraverso le loro parole. Come regista ero molto eccitato dalla sfida di far vedere al pubblico qualcosa che non avrei mai girato e che doveva venire fuori dai discorsi di qualcuno che stava parlando. Non era facile, ma è così che ho deciso di realizzare il film.
Rispetto ad altri drammi giudiziari il tuo propone degli aspetti innovativi sia dal punto di vista dei contenuti che degli aspetti estetico visuali. Tra questi ultimi un ruolo importante lo riveste l’aula del tribunale. Quella in cui hai girato il film è del tutto diversa dalle altre per lo stile, per l’asettica razionalità delle architetture, ma anche per il colore rosso delle pareti che fanno sentire la loro presenza in termini di oppressione verso i personaggi.
Si, è vero. Volevo parlare di una famiglia contemporanea con una storia dei nostri giorni per cui mi serviva un edificio moderno. Abbiamo visto molti film di genere procedurale e nella maggior parte di essi sembra di trovarsi a teatro per via di un’art deco lontano dalla realtà. Io desideravo una struttura più recente che fosse in grado di farne sentire l’attualità e la parete rossa dietro la schiena dei personaggi è del tutto estranea a loro, da qui il fatto di girarvi il film. Inoltre questo tribunale – che esiste anche nella realtà – è composto da aree che mi permettevano di creare separazione tra i vari caratteri in maniera da restituire il loro sentirsi prigionieri della situazione. Il senso di reclusione appartiene tanto alla famiglia di Lisa che alla ragazza, in trappola sia nel proprio nucleo famigliare e anche nel processo dal quale non può in alcun modo scappare. La forma dei vari ambienti mi è servita per materializzare queste prigioni.
Nel corso del film esiste una dialettica tra la casa della famiglia di Lisa e l’aula di tribunale. Gli sfondi della prima sono spesso fuori fuoco e privi di profondità mentre all’interno dell’edificio pubblico ogni elemento appare in maniera netta e tangibile. È stato questo anche un modo per sottolineare il fatto che a differenza dell’ambiente casalingo quello pubblico non permetteva ai personaggi di nascondersi e di indossare una maschera?
Non è quello a cui ho pensato. Il rapporto tra la casa e il tribunale l’ho instaurato per far risaltare la similitudine della condizione esistenziale dei protagonisti perché anche la struttura interna della casa aveva delle aree che la facevano sembrare una prigione. Volevo che fosse moderna e questo la fa assomigliare all’aula del tribunale.
Il film è costruito su un doppio isolamento: quello che si produce dentro l’aula di tribunale e l’altro, all’interno della casa. Secondo me questo ti permette di non far perdere ritmo alla narrazione perché il movimento da un ambiente all’altro avviene sempre in locali chiusi e isolati. In più l’accumularsi di sequenze caratterizzate da una continua concentrazione spaziale trasferisce ai personaggi un surplus di oppressione e di claustrofobia.
Esatto. In questa maniera arriviamo a sentire la frustrazione di Lisa per la quale è molto difficile essere sempre isolata. D’altronde, per gli adolescenti della sua età si tratta di una condizione naturale perché tutti vivono esperienze traumatiche che finiscono per farli sentire soli. A causa del processo lei lo è ancora di più, ed è forse da questa frustrazione che nasce la decisione di non parlare. Appare molto fredda ma la sua è solo una forma di protezione rispetto alla durezza della vita. Ma, ripeto, la mia è solo un’interpretazione, perché chi la vede potrebbe anche pensare che la freddezza gli derivi del fatto di essere una cattiva persona. In realtà, può essere che sia il grande isolamento a portarla a non proferire parola.
La scarto generazionale tra genitori e figli è sottolineato dalla sorpresa dei primi nell’apprendere di come il sesso per i loro figli sia legato innanzitutto al piacere e non a motivazioni sentimentali. Tu lo sottolinei in uno dei passaggi più importanti del film, quello in cui Lisa, a seguito di un video che la ritrae in atteggiamenti intimi con un coetaneo, è chiamata a chiarire i rapporti tra lei e i suoi amici.
È un grande scarto, un grande gap ed è il definitivo fraintendimento tra gli uni e gli altri. Le generazioni precedenti non capiscono quelle successive. Penso sia sempre stato così. Nel film è il fatto di non capire i suoi comportamenti a portare gli adulti a percepire Lisa in modo negativo. La giudicano perché non ne comprendono le azioni, quando basterebbe considerare che il non parlare non vuol dire che non provi niente. Il video della fellatio è molto banale ma non per questo meno violento per chi ne è protagonista.
Come appartenente al genere giudiziario, in The Girl with a Bracelet la detection investigativa viene sostituita da un’indagine emotiva e sentimentale in cui i silenzi e le mancate risposte raccontano più delle parole.
Hai detto come stanno le cose meglio di come lo avrei fatto io. Generalmente, quando vedi un film giudiziario cerchi solo di trovare gli indizi che rendono le cose più chiare. Ma ci tengo a dire che la vita non è ordinata e coerente, e talvolta il silenzio dice le cose meglio di tutto il resto. Le azioni e gli avvenimenti non sono chiari perché non abbiamo accesso agli strumenti che potrebbero renderceli tali. Da qui la necessità di credere o meno alle persone. A noi la scelta di accordargli o meno la nostra fiducia.
A proposito di questo argomento, tu offri a Chiara Mastroianni una delle sue più belle interpretazioni grazie a un monologo di struggente sofferenza che ne rivela la bravura d’attrice. Come Lisa, anche il suo personaggio viene giudicato perché non si comporta secondo le aspettative dettate dalle regole sociali. Che tipo di lavoro avete fatto?
Ero consapevole che per ragioni di sceneggiatura il personaggio della madre di Lisa si sarebbe visto poco, ma non volevo che il pubblico finisse per giudicarlo dicendo che era un mostro. Sapevo, inoltre, che se avessi preso Chiara Mastroianni avrei potuto portare sullo schermo una fragilità che avrebbe impedito al pubblico di giudicare a priori il suo personaggio. Come ho lavorato con lei? Chiara ha bisogno di capire il background del suo personaggio. Con gli attori non utilizzo sempre lo stesso metodo. Alcuni amano parlare del retaggio socio esistenziale dei loro alter ego, altri vogliono essere molto precisi sugli aspetti legati alla performance fisica e visuale e, dunque, a come devono muoversi e quale tono della voce utilizzare. Quindi, quello che ricerco è il modo di comunicare con loro. Nel caso di Chiara, non sentendosi mai abbastanza brava, ha bisogno di parlare molto con il regista. Così ho fatto, ma non ho interferito con il suo modo di essere, perché volevo che lo trasmettesse al personaggio.
Il tuo è un film basato molto sugli attori. Prima di iniziare a girare avete fatto molte prove?
Non molte, più che altro con coloro che dovevano interpretare i ruoli minori, quelli che richiedevano una conoscenza tecnica degli argomenti di cui dovevano riferire alla giuria, Con un solo giorno di set questi ultimi necessitavano di avere la giusta confidenza con le conoscenze professionali dei loro personaggi. Non è facile arrivare sul set e quindi nell’aula di tribunale e iniziare a recitare. È una cosa che può mettere soggezione per cui le prove sono state il modo per evitare che ci fosse questo rischio.
A differenza di una serie tv come Thirteen che ha fiducia nella giustizia e soprattutto nelle infinite possibilità del mezzo tecnologico The Girl with a Bracelet evidenzia i limiti di questi fattori.
Nel film ho voluto condividere il mio feeling verso la tecnica e verso i media, considerando che rispetto al progresso della tecnica la natura umana è rimasta sempre la stessa e il cuore delle persone rimane la chiave delle nostre relazioni. Questo è quello che mi interessa veramente. Volevo raccontare una storia contemporanea in un contesto che lo fosse in altrettanta maniera Non sono contro la tecnica ma penso che essa sia solo uno strumento e non può cambiare l’essenza delle cose.