Ham on Rye di Tyler Taormina mette in scena il passaggio dall’adolescenza all’età adulta di differenti gruppi di ragazzi e ragazze che si ritrovano alla rosticceria di Monty per “il giorno più importante della loro vita”, come dice una di loro alle sue due amiche, tutte vestite di bianco con merletti e piccoli bouquet da polso. Si può riassumere in queste poche parole il soggetto del film del giovane (nato nel 1990) regista americano alle prese con la sua opera prima, dopo aver fatto esperienza con filmati per il web e video musicali. E si può dire che questo suo bagaglio si sente nello sviluppo di Ham on Rye, che è composto da tante scene che potrebbero essere brevi segmenti autonomi, un po’ fine a se stessi, anche se il loro scopo è quello di collegarsi tutti – almeno nella prima parte del film – al mitico ristorante di questa cittadina della provincia californiana.
Così, con un montaggio alternato, assistiamo prima al viaggio di differenti tipi di giovani donne e uomini verso il locale, poi alla festa con consumazione di bevande e panini e infine alla scelta delle coppie per il ballo. Questa prima parte appare come la versione povera del ballo scolastico di fine anno tanto celebrato in molti teen movies degli anni Settanta e Ottanta. E Taormina sembra voler ironizzare proprio nei confronti di quel tipo di cinema, fino ad arrivare a creare un’atmosfera vintage utilizzando sia costumi che una colonna sonora che ricordano quel periodo.
Abbiamo poi una seconda parte di Ham on Rye, in cui si assiste al girovagare inconcludente di un gruppo di giovani, che sono rimasti bloccati nella provincia: sembra quasi una chiara metafora delle speranze di un futuro migliore tra chi scompare dopo la festa e di chi, invece, resta imprigionato nella routine quotidiana di una vita senza alcuna prospettiva di realizzazione e di benessere individuale.
Il grande problema di Ham on Rye è però la messa in pratica di questi temi. Le idee di regia e di sceneggiatura di Taormina risultano un po’ troppo immature, ma soprattutto quello che appare evidente è il vuoto pneumatico delle vicende in cui si trovano i personaggi, che se vuole essere metafora esistenzialista lo sia, ma senza fagocitare il ritmo della narrazione, che rotola nell’immobilità emozionale (in particolare nella seconda metà dell’opera). Presentato nella sezione dei Cineasti del Presente al 72° Locarno Film Festival, Ham on Rye sembra un American Graffiti aggiornato agli anni Dieci di questo secolo. Peccato però che sia privo di quella malinconia e potenza emotiva che tracimava dall’opera di George Lucas.