7500 è l’opera prima del giovane regista tedesco Patrick Vollrath che ha debuttato, in prima mondiale, in piazza Grande al 72° Locarno Film Festival. Il numero del titolo è il codice lanciato dai piloti quando è in atto un attacco terroristico. Ed è quello che succede sull’aereo di linea con ottantacinque passeggeri a bordo, partito da Berlino e diretto a Parigi.
Vollrath è stato allievo di Michael Haneke e il suo film indipendente a basso costo è stato paragonato dalla direttrice del Festival di Locarno al cinema di Jacques Tourneur e di Val Newton che, con pochi mezzi a disposizione, lavoravano sulla storia, i personaggi e le atmosfere confezionando e producendo film di pregio. Certo, l’operazione messa su dal giovane regista ha alcuni elementi che possono colpire: girato completamente all’interno della cabina di pilotaggio, con un’unica star (Joseph Gordon-Leavitt, interprete del copilota) e da pochi comprimari, 7500 per un’ora e mezza inchioda lo spettatore alla sedia con molti colpi di scena tragici ma quasi sempre prevedibili. Il fatto che i dirottatori siano terroristi musulmani tedeschi di origine turca, che vogliono impadronirsi dell’aeromobile per schiantarlo su una città, rimane solo un innesco drammaturgico per la narrazione, mentre diventa determinante la messa in quadro all’interno di un’unica unità di luogo in cui la messa in scena non è determinante per la riuscita del film.
Vollrath costruisce con 7500 un congegno in cui la pulsione scopica dello spettatore viene confluita nella buia cabina che si trasforma in una caverna buia dove si lotta per la sopravvivenza, e l’umanità scompare lasciando il posto a istinti belluini e irrazionali che si contrappongono a regole meccaniche fornite dal mezzo in movimento. L’esterno scopare dietro la consolle della strumentazione dell’areo che con le sue luci, manopole e pulsanti si trasforma in una mappa temporale che scandisce il tempo dell’azione. 7500 rimane però un semplice prodotto di genere mainstream che non riesce mai a decollare veramente – in una nemesi metacinematografica vista l’ambientazione della storia. Non c’è traccia né dei padri putativi del regista, né una qualche rielaborazione originale di topoi e stilemi ,come ad esempio fece Steven Spielberg con Duel. In 7500 c’è una forte produzione più di ansia che di suspense: solo che in un film di suspense essa si ricrea e ripresenta a ogni visione, mentre l’ansia scompare dopo la prima visione, per non tornare più. Ma tolta l’ansia provocata dalla prima visione di 7500 resta alla fine ben poco e quel poco è appena sufficiente per godersi uno spettacolo serale. A questo punto, attendiamo Patrick Vollrath a un’ulteriore prova dopo questa pellicola tutto sommato un po’ incolore.