Maledetti vi amerò di Marco Tullio Giordana, con Flavio Bucci
Con Maledetti vi amerò, l’appena ventottenne Giordana esordisce alla regia guardando alla generazione del post ’68 e anticipando il revisionismo dei decenni successivi. Un immenso Flavio Bucci veste i panni di un comunista disorientato dal crollo ideologico, con una recitazione straniata. Il film vinse il Pardo d’Oro al Festival di Locarno
Maledetti vi amerò è un film del 1980 diretto da Marco Tullio Giordana, vincitore del Pardo d’Oro al Festival di Locarno. Fu presentato nella sezione Un Certain Regard del 33º Festival di Cannes. Sceneggiato da Vincenzo Caretti e Marco Tullio Giordana, con la fotografia di Giuseppe Pinori, il montaggio Sergio Nuti e le musiche di Franco Bormi, Maledetti vi amerò è interpretato da Flavio Bucci, Micaela Pignatelli, Anna Miserocchi, Agnes de Nobecourt, Biagio Pelligra.
Sinossi Svitol ha passato in America Latina gli ultimi cinque anni: al suo ritorno in Italia realizza che gli ideali che animarono il 68 sono inevitabilmente in crisi. L’uomo stringe rapporti con un commissario di polizia, promettendogli di svelargli piani terroristici quando i due si incontreranno a Roma.
Ex militante di sinistra durante gli anni della contestazione studentesca, si fa rimpatriare in Italia dopo essere riparato per 5 anni in Sudamerica credendosi, a torto, oggetto delle attenzioni della polizia. Ritrova un paese sprofondato in una grave crisi ideologica e morale, trasformato dall’omologazione e dalla rassegnazione, tra ex compagni imborghesiti e cocainomani,partigiani revisionisti, commissari disillusi e la insostenibile consapevolezza di un fallimento umano e generazionale (a destra come a sinistra). In un ultimo, disperato tentativo di riscattarsi da questo degrado morale e umano dà, al commissario che lo tiene sotto controllo, un fatale appuntamento con la (propria) morte.
Nell’anno che contrassegna simbolicamente uno spartiacque tra le asprezze della lotta brigatista e la normalizzazione politica seguita alla fine del compromesso storico, esce questo pamphlet cinematografico di Marco Tullio Giordana da sempre testimone di una asciutta e caustica deriva generazionale, qui improntata sui toni amari e sarcastici di una svagata disillusione ideologica, al triste bilancio di un fallimento radicale delle rivoluzioni fratricide nostrane (ciò che resta è solo ‘sangue e foglie’ dice il vegliardo partigiano). Sul volto impassibile di un superlativo Flavio Bucci si disegna la stanca rassegnazione di un mite rivoluzionario, un po’ reduce e un po’ esule, che ritorna dalle sue peregrinazioni d’oltreoceano per ritrovare un paesaggio di macerie industriali e omologazione sociale (classe! – dove sei finita – urla con teatrale impotenza nella desolata scenografia di una fabbrica abbandonata) in una ricognizione, tra irridenza e cattiveria, dei bolsi luoghi comuni di un vuoto ideologismo, tra il mito di una guerra partigiana di ‘statue e bandierine’, la prosaica elencazione di una ridicola dicotomia politica (‘il bagno è di destra e la doccia di sinistra’), le farneticazioni anarcoidi e la paternale indulgenza di un ufficiale di polizia, groppuscoli di inebetiti ‘picchiatori di sinistra’, il ridicolo teatrino di una informazione ipocrita e tendenziosa e la amara constatazione che i morti sono tutti uguali quando sono morti. Benché appaia appesantito dalla verbosa ruvidità del discorso politico, il film di Giordana si nutre di una ricercata leggerezza espressiva tra le escursioni scanzonate per una Milano grigia e operosa, le brillanti citazioni di una Nouvelle Vogue (da Straub a Godard) fuori tempo massimo e la demenziale irriverenza di un giovane e barbuto David Riondino. Finale tragico e sconsolato di una ridicola discesa agli inferi, il suicidio assistito di una inutile generazione delle cause perse.